giovedì 18 febbraio 2016

The Hateful Eight - il nuovo Tarantino




Il Cristo misericordioso è ormai ricoperto di neve, al magistero della pietà viene immediatamente contrapposto quello della giustizia che è un implacabile, anaffettivo tribunale della vendetta. "The Hateful Eight", il più politico dei film di Tarantino, è un gioco al massacro in interni che si scioglie lentamente nella giostra esilarante dell'intrigo e del sospetto, dove ogni ipotesi identitaria viene meno. Con un'intuizione geniale, Tarantino utilizza l'Ultra Panavision 70 ribaltandone l'idea di base, ci fa credere all'inizio di assistere a un vertiginoso film di spazi aperti, per poi rinchiudersi all'interno dell'emporio di Minnie. Una galleria di volti allungati, uno spazio unico concepito come il luogo chiave di una tragicommedia tutta umana. Tra film processuale, giallo à la Agatha Christie e risonanze progettuali da La Cosa di carpenteriana memoria, l'ultimo film di Tarantino è la geniale mise en abyme di tutto il suo cinema, l'eversivo corollario della forza selvaggia e brutale su cui si fonda la giustizia. The Hateful Eight potrebbe essere ambientato nel Medioevo come a un giorno dall'Apocalisse e non farebbe differenza: a Tarantino interessano uomini, spazi e tempi, deflagrazioni improvvise dell'azione, slittamenti temporali che, come in un giallo d'altri tempi, svelano i tasselli mancanti del complotto. E alla fine non rimane che annientare tutto ciò che abbiamo visto, tutti gli ideali e le menzogne degli otto, per scivolare via in un estasi di vomito e sangue. Esaltante, come il corpo filmico di Jennifer Jason Leigh, sottoposto a una demenziale via crucis della violenza: pugni, calci, lividi e ferite, fino a essere completamente ricoperta da un mare di sangue...tra il demonio e la strega, con Carrie nel cuore...non si può che ridere e morire, o aspettare l'oltretomba mentre si legge la lettera che ci ha salvato la vita.

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