lunedì 28 marzo 2016

Batman V Superman




Dall'identificazione del supereroe come pura mitologia contemporanea, dalla visione apocalittica di un mondo forgiato da un male inestirpabile, dallo scontro tra angeli e demoni, da tutto questo parte il cupissimo Batman V Superman. Snyder, stilizzato, altisonante, fracassone ma intelligentemente iconico, regala una prima ora e mezza di puro, affascinantissimo intrattenimento, per poi cadere miseramente in un terzo atto che sfigura, abbatte, distrugge ogni merito, ogni interesse, ogni empatia (a partire dal rovesciamento nemici-amici causato da un incredibile, imbarazzante caso di omonimia). Ed è allora che il film naufraga vertiginosamente e la noia prende ancora una volta il sopravvento. p.s. di fronte a Henry Cavill, Ben Affleck - in stato di grazia - è l'attore più espressivo del mondo.

quell'incredibile leggerezza del corpo




ciò che manca di più è quell'incredibile leggerezza del corpo, che non è solo il corpo attoriale ma lo stesso corpo filmico. Tutto sembra esente dal peso e dalla forza di gravità. Hai quasi l'impressione che Gene Kelly possa iniziare a volare da un momento all'altro e non ti sorprenderesti, perché è quello che chiedi, è quello che credi, è quello che speri. Si può, si deve rivedere Ballando sotto la pioggia, per tornare a credere nella forza e nella grazia infinita dello sguardo: il mondo intero si ferma in una canzone, avvolto in una pellicola di sapone che sconfigge il tempo. Sempre e comunque il cinema più bello del mondo.

Brooklyn




A ripensarci, Brookyln è un film di un candore fuori tempo massimo, di un'ingenuità-classicità da assaporare frame dopo frame per tornare a sentirsi a casa. Per chi ama abitare nei terreni più tradizionali del melò, Brooklyn è una vera goduria: tanto è trattenuta - e forse meno interessante - la prima parte, quanto si lascia andare la seconda, che esplode in una giostra di sentimenti, in un andirivieni tipico del più consono dei melodrammi. Il bello di "Brooklyn" è che l'unico referente del film, molto più che la Storia, è il cinema stesso: cavalcare gli archetipi, ripensare la vita a partire dalle coordinate del melò, costruire una galleria di figurine che al cinema, solo al cinema, possono continuare a porsi come capisaldi, bussole orientative, guardiani stessi della visione. Ma dietro la patina rassicurante, c'è un discorso non così ovvio sulla formazione dell'identità come ciò che eccede i contesti di appartenenza (le città e poi, ovviamente, il cinema stesso). E infine, sotto quest'apparente innocenza, si nasconde un mondo di bassezze morali ed egoismi (da cui non è esente neppure la protagonista). E poi, quando la macchina da presa di John Crowley incornicia un primo piano della magnifica Saoirse Ronan, il film inizia a vibrare al di là della sua cornice.

Weekend di Andrew Haigh




"Quello che c'è di più profondo nell'essere umano è la pelle."
(Paul Valéry, L'idea fissa)

Reduce dalla visione del bellissimo Weekend di Andrew Haigh che avevo già infinitamente amato per 45 anni. Questo film così dolce, così fragile, così delicato, scivola nell'intimità delle mura domestiche, assorbe i tentennamenti instabili del giorno e della notte, si lascia corteggiare dagli sguardi di un incontro improvviso, dalle parole importanti e, soprattutto, da quelle superflue. Haigh ha una visione epidermica, è attratto dai corpi e dalle loro torsioni, dal desiderio e dal bisogno di una carezza, di un abbraccio, di un sorriso, perfino di una lacrima. E' intimo, ravvicinato, senza essere mai invasivo. Hai l'impressione che la sua macchina da presa sappia amare e voler bene, sappia "toccare" i suoi corpi e restituirne tutto il calore: il codice morale di Haigh è quello di un'inesauribile, preziosissima tenerezza. Tenerezza che può conoscere infelicità e nefandezze, sospensioni e fischi, ma non si compiace, non si glorifica, rimane lì, ancorata alle sue passioni e alle sue attese. Ripensavo al così lontano, così vicino Philippe Garrel, a quando si dice che il suo è un cinema che inscena momenti della vita, attimi di passaggio che si accendono e si spengono nella mente. Qualcosa di non necessariamente ritornante, ma che era lì, per un giorno, una settimana o un anno, e allora sembrava tutto, pareva in grado di motivare ogni cosa.
E poi, all'improvviso, è svanito, proprio com'era arrivato.
Dissolto nella mente, come un fantasma sbiadito.
Un treno se ne va, eppure qui la storia è sempre destinata a ricominciare da capo, con l'ascolto delle confessioni di una mattina in cui, imbarazzati ma un po' eccitati, si aveva voglia di parlare, di raccontare e far l'amore, pronti ad accogliere l'altro nella nostra vita.