lunedì 28 marzo 2016

Weekend di Andrew Haigh




"Quello che c'è di più profondo nell'essere umano è la pelle."
(Paul Valéry, L'idea fissa)

Reduce dalla visione del bellissimo Weekend di Andrew Haigh che avevo già infinitamente amato per 45 anni. Questo film così dolce, così fragile, così delicato, scivola nell'intimità delle mura domestiche, assorbe i tentennamenti instabili del giorno e della notte, si lascia corteggiare dagli sguardi di un incontro improvviso, dalle parole importanti e, soprattutto, da quelle superflue. Haigh ha una visione epidermica, è attratto dai corpi e dalle loro torsioni, dal desiderio e dal bisogno di una carezza, di un abbraccio, di un sorriso, perfino di una lacrima. E' intimo, ravvicinato, senza essere mai invasivo. Hai l'impressione che la sua macchina da presa sappia amare e voler bene, sappia "toccare" i suoi corpi e restituirne tutto il calore: il codice morale di Haigh è quello di un'inesauribile, preziosissima tenerezza. Tenerezza che può conoscere infelicità e nefandezze, sospensioni e fischi, ma non si compiace, non si glorifica, rimane lì, ancorata alle sue passioni e alle sue attese. Ripensavo al così lontano, così vicino Philippe Garrel, a quando si dice che il suo è un cinema che inscena momenti della vita, attimi di passaggio che si accendono e si spengono nella mente. Qualcosa di non necessariamente ritornante, ma che era lì, per un giorno, una settimana o un anno, e allora sembrava tutto, pareva in grado di motivare ogni cosa.
E poi, all'improvviso, è svanito, proprio com'era arrivato.
Dissolto nella mente, come un fantasma sbiadito.
Un treno se ne va, eppure qui la storia è sempre destinata a ricominciare da capo, con l'ascolto delle confessioni di una mattina in cui, imbarazzati ma un po' eccitati, si aveva voglia di parlare, di raccontare e far l'amore, pronti ad accogliere l'altro nella nostra vita.

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