mercoledì 15 gennaio 2014

In un magma d'immagini:
"United Red Army" di Koji Wakamatsu




Parte come un documentario con immagini di repertorio e una voce off che narra, fredda e neutrale, gli eventi nel Giappone tra gli anni '60 e '70. Poi, improvvisamente, si trasforma in un dolorosissimo film "di finzione" (se ha ancora senso come classificazione) che racconta l'addestramento per diventare veri soldati (e veri comunisti) della United Red Army.
Il film avanza per blocchi, in un'estetica bassa e dimessa che mostra la deriva violenta e cieca degli ideali e dei sogni, la reiterazione di qualsiasi gesto punitivo, di quell'autocritica che diviene estasi di purificazione sconvolgendo mente e sensi. E quando arriviamo al blocco finale, quello del rapimento, i tempi si rallentano ulteriormente, si riscopre l'umanità e la fragilità del singolo, la diversità e il dolore. La Storia rientra prepotentemente in un mare di scritte sovrimpresse, di voci off documentaristiche, come a ricordare che "United Red Army" non è un film ma è un magma d'immagini e di storie che si muovono ipertrofiche (anche oltre le tre ore di durata) nel dolore e nella miseria.
La rinascita di Wakamatsu (a cui seguiranno gli ultimi splendidi film) prima della definitiva dipartita.



lunedì 13 gennaio 2014

π - Il teorema del delirio




"13:26, enuncio di nuovo le mie teorie.
1: la natura parla attraverso la matematica;
2: tutto ciò che ci circonda si può rappresentare e comprendere attraverso i numeri;
3: tracciando il grafico di qualunque sistema numerico ne consegue uno schema. Quindi ovunque, in natura, esistono degli schemi.
E allora parliamo della Borsa, di quell'universo composto da numeri che rappresenta l'economia globale, milioni di mani che lavorano, miliardi di cervelli, un'immensa rete umana che grida alla vita: un organismo, un organismo vivente. La mia ipotesi: anche nella borsa esiste uno schema, ed è proprio davanti a me, nascosto fra i numeri: è sempre stato lì. 10:18, premo invio".

Figlio di una matematica che si è fatta (o è sempre stata) narrativa, inseguito da una macchina a mano che non lascia scampo, fino alla morte, oltre la morte. "Pi greco" è l'esordio di Darren Aronofsky (e, dopo "The Wrestler", la sua opera di gran lunga più interessante) in un bianco e nero vertiginoso, quasi corporeo, che agisce sul protagonista come se fosse un luogo fisico, in grado di costringerlo, schiacciarlo, abusando della propria densità.
Gioco-rimando di una narrazione divenuta inevitabilmente frattale: alla ricerca del vero nome di Dio, con capacità tecnico-visive straordinarie, Aronofsky gira a basso budget con uno stile secco, sporco, che riesce a far percepire la nausea, il dolore, perfino la puzza del luridume (del mondo in una stanza, di un corpo appassito e di una mente sempre sul punto di esser trapanata). Il primo Aronofsky, come " Eraserhead" di Lynch, come "Tetsuo" di Tsukamoto, come il primo Cronenberg o Svankmajer, crede prima di tutto in un cinema che agisca sulla sfera del tatto e dell'olfatto: i film devono prima di tutto toccare, ferire, agire sulla pelle, restituire l'odore di un disagio psicosomatico. In attesa di nuovi stadi di mutazione e di altri livelli di umanità...



Piccoli appunti per piccoli grandi film
"Little Feet" di Alexandre Rockwell




In mezzo a una tale proliferazione di immagini è sempre bello tornare a casa: "Little Feet" di Alexandre Rockwell è esattamente questo. Un film piccolo, famigliare, intimo e giocoso.
Pare quasi un sogno in 16 mm in cui lasciarsi cullare dalla luce e dal bianco e nero, mentre due fratelli avanzano verso il mare e il cielo, tutto il cielo, sembra bianco come il latte.
E' quasi rassicurante pensare a un mondo (e a un cinema) che continua ad esistere e a resistere impresso, ancora una volta, su celluloide.

Città di fantasmi:
Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch




All'interno di un mondo degradato, di una città di fantasmi dove sembra che non ci sia più nessuno, dove l'umanità-zombie vive rintanata in interni isolati e locali notturni, si dispiega per due ore "Only Lovers Left Alive": l'apocalisse di Jim Jarmusch è quella oltre il tempo e la Storia, quella di una realtà filtrata attraverso gli occhi di chi vive (e di chi ama) nel corso dei secoli. Il mondo è una stanza dove riunire le reliquie della Storia, in una prospettiva notturna, lontana dalla luce del sole e dal sentire comune. La cultura stessa è un'insieme vano di nozioni e citazioni: una delle intuizioni più lucide e caustiche di Jarmusch si ritrova nell'associazione tra vampirismo e cultura. Perché i suoi Vampiri sono musicisti underground e freaks fuori tempo massimo, che parlano di Lord Byron e Mary Shelley mentre bevono sangue purissimo prima che arrivi il giorno.

Jarmusch firma una delle sue vette, forse la sua opera più trasparente e personale, dove si ritrova tutto il suo cinema (sonorità comprese) e, forse, anche qualcosa di più. Il suo rimane uno degli sguardi più interessanti e anomali del panorama cinematografico contemporaneo, in grado di gettare uno sguardo dolorosissimo ma colmo d'amore e tenerezza su un degrado inevitabile. E nel fare questo racconta i suoi personaggi con una delicatezza e una sensibilità rare.
L'hanno detto tutti, e non posso che confermare: che film straordinario.



mercoledì 1 gennaio 2014

Chronik Einer Sehnsucht:
IL MIO 2013 CINEMATOGRAFICO
(alla meraviglia)




Più che una classifica questa vuole essere una libera ricognizione sulle visioni di quest'anno, con un'appendice che definirei più personale ed evocativa. Di seguito sono riportati tutti i film visti in sala (o ai festival di Roma e Venezia) nel 2013. Specifico subito che film come “The Master”o “Holy Motors” erano già nel mio 2012 e quindi non saranno in questa lista, mentre gli ultimi Malick e Korine, persi al festival di Venezia dell’anno scorso e rimediati quest’anno, sono stati ovviamente inseriti. Purtroppo mancano, tra gli altri, gli ultimi film di Lav Diaz, Bruno Dumont, Paolo Berger, Ulrich Seidl e Julio Bressane, che devo ancora recuperare.

Cronache dal Paradiso (dove non può esistere paragone alcuno, perché nel regno dell’oltre non ci sono numeri o stellette che tengano. L’ordine, di conseguenza, è puramente casuale).




DIE HANDERE HEIMAT: CHRONIK EINER SEHNSUCHT Edgar Reitz
HARD TO BE A GOD Aleksej German
TO THE WONDER Terrence Malick
STRAY DOGS Tsai Ming-liang
AT BERKELEY Friedrich Wiseman
FENG AI Wang Bing
THE ACT OF KILLING Joshua Oppheineimer
SPRING BREAKERS Harmony Korine
LA VITA DI ADELE Abdel Kechiche
O NOVO TESTAMENTO DE JESUS CRISTO SEGUENDO JOAO Joaquim Pinto e Nuno Leonel
FEAR OF FALLING Jonathan Demme



Gemme preziose
(Qui e nelle prossime due "sezioni" c’è un ordine, più istintivo che ragionato, dall’alto in basso).
WHY DON’T YOU PLAY IN HELL? Sion Sono
VENERE IN PELLICCIA Roman Polanski
BEHIND THE CANDELABRA Steven Soderbergh
BLUE JASMINE Woody Allen
ZERO DARK THIRTY Kathryn Bigelow
ONLY LOVERS LEFT ALIVE Jim Jarmusch
DJANGO UNCHAINED Quentin Tarantino
THE CANYONS Paul Schrader
HER Spike Jonze
LIKE FATHER, LIKE SON Hirokazu Kore-eda
APRES MAI Olivier Assayas
SU RE Giovanni Columbu
LO SCONOSCIUTO DEL LAGO Alan Gouriundieu
THE WIND RISES Hayao Miyazaki
LITTLE FEET Alexandre Rockwell
IL TOCCO DEL PECCATO Jia Zhang-Ke
NO Pablo Larrain
GRAVITY Alfonso Cuàron
SNOWPIERCER Bong Joon-ho
BLUE PLANET BROTHERS Miike Takashi
BELLAS MARIPOSAS Salvatore Mereu
LORDS OF SALEM Rob Zombie
I AM NOT HIM Tayfun Pirselimoglu
THE GRANDMASTER Wong Kar-wai
THE ZERO THEOREM Terry Gilliam EFFETTI COLLATERALI Steven Sodebergh
UNDER THE SKIN Di Jonathan Glazer
MOEBIUS Kim Ki-duk
ANA ARABIA Amos Gitai
IL MINISTRO – L’ESERCIZIO DELLO STATO Pierre Schoeller
NIGHT MOVES Kelly Reichardt
CHILD OF GOD James Franco
STAR TREK INTO THE DARKNESS J.J.Abrams
BLUE SKIE BONES Cui Jian
IL GRANDE E POTENTE OZ Sam Raimi
PACIFIC RIM Guillermo Del Toro
DANS LA MAISON François Ozon
COME UN TUONO Derek Cianfrance
RUSH Ron Howard
TIR Alberto Fasulo
I SOGNI SEGRETI DI WALTER MITTY Ben Stiller
JOE David Gordon Green
LA MIGLIORE OFFERTA Giuseppe Tornatore
QUOD ERAT DEMONSTRANDUM Andrei Gruzsniczki
YOUNG DETECTIVE DEE: RISE OF THESEA DRAGON Tsui Hark
CAPO E CROCE – LE RAGIONI DEIPASTORI Antonio Pani e Paolo Carboni
I CORPI ESTRANEI Mirko Locatelli
FACCIAMOLA FINITA Seth Rogen, Evan Goldberg
DARK SKIES Scott Stewart



Sospesi nel limbo
LINCOLN Steven Spielberg
FLIGHT Robert Zemeckis
OBLIVION Joseph Kosinski
RE DELLA TERRA SELVAGGIA Benh Zeitlin
KICK-ASS 2 Jeff Wadlow
BLING RING Sofia Coppola
THE GREEN INFERNO Eli Roth
SEVENTH CODE Kiyoshi Kurosawa
LOCKE Steven Knight
SACRO GRA Francesco Rosi
GIOVANE E BELLA François Ozon
A VITA INVISIVEL Vitor Gonçalves
LAS BRUGAS DE ZAGARRAMUNDI Alex De La Iglesia
TAKE FIVE Guido Lombardi
THE UNKNOWN KNOWN Errol Morris
THE CONJURING James Wan
DALLAS BUYERS CLUB Jean-Marc Vallée
PARKLAND Peter Landesman
TALES FROM THE DARK Simon Yam, Fruit Chan, Chi Ngai Lee,Gordon Chan, Lawrence Lau, Teddy Robin
PHILOMENA Stephen Frears



E poi giù all’inferno
STOKER Park Chan-Wook
ENTRE NOS Paulo e Pedro Morelli
IL LATO POSITIVO Di David Russell
DON JON Joseph Gordon-Lewitt
THE MOLE SONG Di Miike Takashi
MISS VIOLENCE Di Alexandor Avranos
LA PRIMA NEVE Andrea Segre
WE ARE THE BEST! Lukas Moodysson
LES TERRASSES Merzak Allouache
CONFESSIONS Tetsuya Nakashima
GERONTOPHILIA Bruce LaBruce
UN GIORNO DEVI ANDARE Giorgio Diritti
LA GRANDE BELLEZZA Paolo Sorrentino
ONLY GOD FORGIVES Nicholas Refn
TRACKS Di John Curran
PALO ALTO Gia Coppola
WORLD WAR Z Marc Forster
CAZANDO LUCIERNAGAS Robert Flores Prieto
SORROW AND JOY Nils Malmros
CHE STRANO CHIAMARSI FEDERICO Ettore Scola
LA LUNA SU TORINO Davide Ferrario
ATTACCO AL POTERE Antoine Fuqua
RIGOR MORTIS Juno Mak
ANOTHER ME Isabel Coixet



Fuori concorso: giudizi sospesi causa umori instabili (in attesa di unaseconda visione, come a dire: la mancanza era solo nel mio occhio).
ZANJ REVOLUTION Tariq Teguia
LA JALOUSIE Philippe Garrel
TOM A’ LA FERME Xavier Dolan

Emozioni restaurate
TO BE OR NOT TO BE – VOGLIAMO VIVERE! Ernst Lubitsch
SORCERER – IL SALARIO DELLA PAURA William Friedkin





Appendice: la goccia di rugiada
Anno dell’assenza, della mancanza, dell’esistenza come ricerca continua, dove a contare sono soprattutto i tempi morti. Epopea della dolorosa, fragile e inquieta meraviglia di paradisi perduti ma mai dimenticati: l’albero della vita è uno spettro rievocato, il tempo è quello dell’erranza e del movimento. To The Wonder, film estatico per eccellenza, inteso come fuoriuscita dal proprio corpo, come essere fuori di sé: ogni uomo è abitato, posseduto, da più forze che combattono al suo interno. Tutto è in una goccia di rugiada, tutto è cinema. Non esistono più scarti possibili: l’occhio, famelico, onnivoro, verace, inghiotte ogni cosa che lo circonda, la vita di Adele che è una cento mille vite, perché è l’esistenza stessa che scorre davanti ai nostri occhi. E nel blu, colore caldo, i riflessi di quella spiaggia dove Truffaut immortalava la corsa del suo ragazzo selvaggio. Il mondo, qualsiasi mondo, finisce internato, si fa microcosmo, secondo una logica-frattale che pare muovere le immagini. E allora ecco il miracolo-Wiseman e la sua Berkeley, realtà implosa di un’intera società. O Oppheneimer e il fenomenale corto-circuito morale. O Wang Bing e il manicomio cinese – e, ancora, il documento che non è documento, il documentario che non esiste e non è mai esistito.



La sala è buia, lo schermo è nero, in principio era il Verbo, una voce legge il vangelo giovanneo e il cinema ritorna fenomeno cultuale.
Esperienze e viaggi immobili, come nei grandi romanzi, quelli delle passioni ardenti, delle delusioni e delle frustrazioni, delle coscienze infelici e delle aspettative tradite, di chi sogna il mondo ma è impossibilitato a conquistarlo. La grandezza di Edgar Reitz è quella di chi crede ancora nell’Uomo e nell’Avventura in un’epoca senza più uomini o avventure. E’ grande perché è fuori tempo massimo – come solo i più grandi. Penso ripenso al suo capolavoro immenso visto a Venezia, memore delle lacrime di un mondo che non esiste più. Ma lontano dagli inizi echeggia il fantasma della fine del cinema che si ripropone a ogni stagione, come si può vedere in quell’inquietante debordante videoclip imploso, altra cronaca di un dolore e di una fine che c’è già stata: Spring Breakers e ancora Spring Breakers e dopo solo The Canyons.



E, stanchi della tempesta d’immagini, verso il buco nero a cui sono destinate le icone sintetiche (l’elegia-requiem di Terry Gilliam), ci rifugiamo nella visione traumatica, immobile, lunghissima, estenuante e definitiva di Tsai Ming-liang. Non si può che rimanere il silenzio, con la voce spezzata e gli occhi consumati per il loro disperato, vitale tentativo di inseguire un indizio, un movimento, un supporto, una scintilla, anche nell’immobilità – soprattutto nell’immobilità. Rimane solo uno schermo, quello di Stray Dogs che andrebbe visto prima – e dopo – Goodbye Dragon Inn. Siamo già 3D, siamo già nello schermo, navigando tra vomito, feci e interiora, mentre un uomo suona jazz prima che il tempo lo renda possibile. Siamo già in Hard to Be a God, perché più di Dio, ci rendiamo conto che difficile è proprio essere uomini: reiterazione del Mito e del dolore. Penso subito a Su Re e alla Versione (intesa come declinazione del racconto) che ormai vince la Storia.

(digressione nella digressione: sono registi come Columbu, ma anche Mereu col suo splendido Bellas Mariposas e poi, fuori da quest'anno, Frammartino e Marcello, tanto per fare due nomi particolarmente noti, a fare gran cinema in Italia).

E ancora.

Ripenso ai primi piani dorati che infiammano lo schermo nell’ultima gemma di Jonathan Demme o alla danza della Venere in Pelliccia, il film che Polanski ha girato per una vita (perché qui c’è tutto il suo cinema). E a Woody Allen che sposa il dolore nell'espressione glaciale di Cate Blanchett, e alle lacrime di un intero Paese nel volto di Jessica Chastain (Zero Dark Thirty), e alle macchine da presa, armi in grado di uccidere, nell’ultimo straordinario Sion Sono.



Finisce (?) Soderbergh, autore geniale e inafferrabile di un cinema travestito e polisemico, perfino irritante per la sua glaciale, programmatica intelligenza. Finisce superando labirinti di Macguffin e false piste per consegnare alla memoria un dolcissimo affresco d’amore e possesso che sconfina nei territori della chirurgia estetica e dell’eterna giovinezza. Quasi un horror dove riecheggia continuamente il mito di Narciso.

Dietro l’angolo QuentinTarantino continua a riscrivere la storia con il Cinema mentre Jim Jarmusch associa la metafora del Vampirismo alla Cultura (e allo Spirito del Tempo), mentre fa un (quasi) kammerspiel invaso da un insieme vano di nozioni e citazioni che rivelano tutta loro inconsistenza, tutta la loro contingenza, tutta la loro instabilità.
“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”.
Nel melò finisce Hayao Miyazaki e esplode Wong Kar Wai.
Ora è tempo dello spazio, privo di supporti, protagonista di una nuova assenza, quella della gravità.
Ora è tempo di Gravity (o di Bong, perché dopo Snowpiercer anche lui potrebbe essere pronto per lo Spazio: ancora una volta sogni a occhi aperti).