lunedì 27 aprile 2015

The Fighters - Addestramento di vita




Non sono riuscito a ritrovare in "The Fighters - Addestramento di vita" la vitalità e la forza di cui parlavate. Forse sulla carta, forse nelle nobili intenzioni, forse nella fascinazione per due novelli outsiders alla ricerca della propria strada nel mondo. Eppure, l'opera prima di Thomas Cailley, l'ho trovata completamente disequilibrata, priva di guizzi o trovate che potessero renderla davvero memorabile. Perfino i due personaggi finiscono col diventare deboli figurine nelle mani di un autore che non riesce a farle pulsare. E tutta la sequenza nel bosco, troppo breve, troppo programmatica, mette in luce i limiti di un film alla costante ricerca di uno sguardo. E' un'opera che non lascia mai andare i suoi personaggi, che li soffoca entro una narrazione troppo studiata a tavolino per emozionare davvero. Peccato, perché diverse cose mi hanno attratto, ma sono come depotenziate dalla costante preoccupazione di portare avanti la storia. Ne risulta un pastiche che non ha mai fiducia nel film che sarebbe potuto essere e che, purtroppo, non è.

(come a dire: vivere nei boschi e avere paura del silenzio).

domenica 19 aprile 2015

Mia madre di Moretti




"Margherita, fai qualcosa di nuovo, di diverso, rompi almeno un tuo schema, uno su duecento."

Ieri sera ho visto Mia Madre di Moretti...al cospetto di un cinema che ha assorbito la vita dentro di sé, che ha rifiutato qualsiasi intellettualismo a favore di una confessione scritta con le lacrime, di un atto di dolore che è - soprattutto - una vera e propria dichiarazione d'amore, mi scopro a piangere. Forse per la sua semplicità, forse per la sua immediatezza, in ogni frame di Mia madre scopri l'esigenza e la necessità di filmare, di far cinema, ma - ancora di più - di vivere e non rimaner soli. Non ho voglia di scrivere altro, perché quando ti ritrovi davanti a qualcosa di così sincero, devi solo guardare - e lasciarti guardare. Grande, grandissimo Moretti.

venerdì 10 aprile 2015

L'ultimo volo di Miyazaki e Takahata




"Cielo e terra, accettatemi in voi" urla la Principessa Splendente mentre distende le braccia verso il cielo. Jiro Horikoshi dimentica il peso delle bombe, della guerra e delle malattie, per sognare a occhi aperti e tentar di vivere. Isao Takahata e Hayao Miyazaki concludono le loro carriere in volo, librandosi come uccelli in cerca di libertà, semplicità e bellezza immacolata: padri illuminati, novelli bambini ai piedi di un Giappone che non esiste più, arrivano da un altro tempo, da un altro mondo, e compongono sinfonie per ricostruirne i pezzi. Cantano magnifiche odi alla natura, giocano, soffrono, sguizzano nell'aria, nella consapevolezza che tutto ciò che si ama, tutto il tempo perduto, continuerà a esistere per riflesso o per magia. Una canzone sconfigge l'oblio della memoria e colora il mondo intero. Nella malinconia per un'avventura che non potrà più essere vissuta, entrambi fissano il cielo con occhi gonfi di lacrime, diventano bambini solo perché sono già stati adulti. Entrambi si staccano dal peso della terra, catturano l'aria, affondando nel tratto di un disegno che presenta i calchi del tempo, il peso delle lacrime, ma soprattutto la gioia inimitabile di vivere e di esser vivi. Volano. La Terra, la loro terra, si allontana. Rimane un bagliore di luce, un istante, un istante solo, "con la felicità di vivere e gioire su questa terra".
"Si alza il vento, bisogna tentare di vivere."


sabato 4 aprile 2015

Into the Woods - A piedi liberi nel bosco




Amori fedifraghi, lupi pedofili, boschi oscuri e gigantesse vendicative, la morale della fiaba si spezza all'interno del film stesso. Ho particolarmente apprezzato "Into the woods" di Rob Marshall per come, passo dopo passo, ricostruisce una vera e propria morfologia della fiaba, per poi smembrarla radicalmente: i confini famigliari e rassicuranti dell'archetipo (i luoghi, gli eroi, le avventure, i sodalizi) vengono spezzati con brio e inaspettata intelligenza, mentre tutto nel film si capovolge, proiettando le sue ombre deformi in una selva oscura. L'alone dark, inoltre, non è mai edulcorato dalla confezione di film per famiglie ma, unito a un'ironia nerissima, sovrasta l'intera operazione. Con malizia, Marshall confeziona il suo film migliore, dove la messa in scena è a completo servizio di corpi cinguettanti, seppur sgraziati, e canzoni figlie della miglior tradizione disneyiana. E, come ogni buon musical dovrebbe fare, l'intero mondo sembra ballare e tremare, in una giostra teorica che smonta e rimonta, risemantizza perfino, alla ricerca di nuove, deformi fiabe da poter narrare. La stessa divisione del film in due parti (la prima tradizionalissima e quasi accademica, la seconda cupa, libidinale e anarchica), appare tutt'altro che difettosa, ma anzi, rende "Into the Woods" un film strepitosamente libero, a cui si perdonano volentieri anche una ventina di minuti di troppo.

giovedì 2 aprile 2015

Il tempo se n'è andato:
O Velho do Restelo di De Oliveira




Ricordo con affetto l'ultimo film di Manoel De Oliveira che ho visto in sala.
Durante un comune giorno festivaliero, una bufera stava per abbattersi sul Lido, e io, insieme a un altro piccolo gruppo di cinefili incalliti, mi rifugio al buio a vedere "O Velho do Restelo". In venti minuti assisto, con occhi assetati di meraviglia, a un'opera-mondo densissima, costruita secondo le geometrie indecifrabili di un rizoma. Qui l'acqua è in grado di partorire libri che galleggiano attraverso il mare del tempo. Qui ogni elemento, ogni parola, ogni vaga nozione culturale, restituisce il suo riflesso liquido,e nasce, e germoglia, e cresce, ricordandoci il vuoto assoluto cui è destinato. Le immagini fluiscono una nell'altra, si attraggono magmatiche in una danza lunga venti minuti o cent'anni, non fa differenza. Poi, a un certo punto, ci hai mostrato quell'inquadratura - sfuggente, bellissima e quasi profetica - di lunghe ombre che arrivano da chissà dove (forse da un'altra vita) proiettate sull'erba verdissima della memoria. L'opera d'arte si fa proiezione spettrale di faune interiori, abisso in cui perdersi senza mai affondare. Il Maestro è morto, rimangono le immagini a restituirci il senso di una vita, il senso di un mondo, il paradosso stesso della visione. Nel giardino dell'eternità Don Chisciotte conversa con Teixeira de Pascoaes, Luís de Camões, Camilo Castelo Branco...e ora pure Manoel De Oliveira. E il tempo se n'è andato.