giovedì 2 aprile 2015

Il tempo se n'è andato:
O Velho do Restelo di De Oliveira




Ricordo con affetto l'ultimo film di Manoel De Oliveira che ho visto in sala.
Durante un comune giorno festivaliero, una bufera stava per abbattersi sul Lido, e io, insieme a un altro piccolo gruppo di cinefili incalliti, mi rifugio al buio a vedere "O Velho do Restelo". In venti minuti assisto, con occhi assetati di meraviglia, a un'opera-mondo densissima, costruita secondo le geometrie indecifrabili di un rizoma. Qui l'acqua è in grado di partorire libri che galleggiano attraverso il mare del tempo. Qui ogni elemento, ogni parola, ogni vaga nozione culturale, restituisce il suo riflesso liquido,e nasce, e germoglia, e cresce, ricordandoci il vuoto assoluto cui è destinato. Le immagini fluiscono una nell'altra, si attraggono magmatiche in una danza lunga venti minuti o cent'anni, non fa differenza. Poi, a un certo punto, ci hai mostrato quell'inquadratura - sfuggente, bellissima e quasi profetica - di lunghe ombre che arrivano da chissà dove (forse da un'altra vita) proiettate sull'erba verdissima della memoria. L'opera d'arte si fa proiezione spettrale di faune interiori, abisso in cui perdersi senza mai affondare. Il Maestro è morto, rimangono le immagini a restituirci il senso di una vita, il senso di un mondo, il paradosso stesso della visione. Nel giardino dell'eternità Don Chisciotte conversa con Teixeira de Pascoaes, Luís de Camões, Camilo Castelo Branco...e ora pure Manoel De Oliveira. E il tempo se n'è andato.

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