mercoledì 1 febbraio 2017

Voyage(s) of Time - Il mio 2016 cinematografico




Quest’anno non avevo voglia di fare una classifica delle visioni, parlare di belli o brutti, cadere nella prassi dei numeri. Ho deciso di limitarmi a una serie di film – una quarantina circa – che ho particolarmente amato nel corso del 2016, senza preferenze, ma in ordine sparso. Come sempre non mi riferisco solo ai film usciti nelle sale italiane, ma anche a quelli visti in festival (Rotterdam, Venezia, Roma, Trento, Future, Shorts e.c.c.) o recuperati in altri modi. Potrete quindi trovare film di annate precedenti, mentre altri, usciti in sala quest’anno (vedi Il figlio di Saul o Al di là delle montagne) erano già nella lista dell’anno scorso.


Il mio 2016 cinematografico è stato, e non poteva essere altrimenti, anzitutto un viaggio nel tempo, dove si incrociano palingenesi in CGI (Voyage of Time), vulcani come connettori continentali (Into the Inferno) e reti convergenti (Lo & Behold), dissolvenze che rivelano un mondo di fantasmi (The Last of Us), sfide titaniche contro le montagne (Monte) o il primo passo subito dopo l’oblio (Knight of Cups). Ho pensato subito al crocifisso innevato di Tarantino o alle lande bianche e vastissime di Neruda, ai treni del tempo di Almòdovar o ai finali western degli ultimi cowboy americani (Dog Eat Dog di Schrader). Gli occhi brillano di meraviglia (The Assassin), mentre gli uomini comuni si scoprono poeti (Paterson) o eroi (Sully). Alla ricerca di un punto d’unione impossibile tra un film di Lav Diaz, uno di Garrel, uno di Costa e uno di Loznitsa, mi lascio andare al cinema americano più granitico e cinetico, quello di Jason Bourne, di Rogue One, al classicismo muscolare e perfino senile di Creed fino a quello redentivo di Hacksaw Ridge. Rimango, in fondo, un romantico (La mia vita da zucchina). Nel cinema italiano intanto, di fronte alle epifanie di un regista come Marco Bellocchio che continua a girare cose straordinarie, amo in egual modo la spontaneità dei Cormorani, le rovine di Montedoro, le cosmogonie di Spira Mirabilis, la riscoperta del genere perfino di Veloce come il Vento. E poi, tra le stelle, dove ballano i due protagonisti di La La Land, proietto gli alieni di Arrival...e verso le stelle il sabba di quel film fenomenale che è The Witch. L’ultimo pensiero va ai due commoventi vecchietti di My Love, Don’t Cross that River, un film che già dal titolo spezza il cuore. Buon anno a tutti!


Qui i film: https://www.facebook.com/schermo.bianco.7/media_set?set=a.711173392394699.1073741837.100005061334309&type=3

Scorsese - nel silenzio di un riflesso

"E' stato nel silenzio che ho sentito la tua voce"


Così accecante la luce di un riflesso, così inestinguibile la fiamma di un amore che supera il dolore e il martirio per farsi spazio dentro di noi. Così Silence di Scorsese, un cinema tanto grande da spezzare il cuore e lasciare ammutoliti di fronte a tanta bellezza.

Ho sognato un angelo di George Stevens




Il tempo della memoria è il tempo di un disco e poi di un altro e di un altro ancora. Ascoltare significa ritornare, ritornare vuol dire rammemorare, rammemorare infine rivivere, ricominciare da capo, come se la mente di Irene Dunne altro non fosse che un judebox arrugginito che ripete, uno dopo l'altro, i souvenirs di una storia d'amore: dal primo incontro con Cary Grant ai bambini che vissero due (o tre) volte, dallo sguardo che infuocò gli amanti all'amore sconfinato per una docile creatura. E nel ricordo esistono solo Cary Grant e Irenne Dunne: tutto intorno è set, ricostruzione in cartapesta, cinema d'interno. Ma loro, primi piani viventi che emergono da un fondale dipinto, sono più vividi dei fantasmi, più forti dei morti, più innamorati degli altri: sono il centro di un mondo che si perde in dissolvenza. Nulla li potrà fermare - né il dolore, né la perdita, né la tristezza - perché il loro tempo ritornerà sempre in attesa di un lieto fine. Le voci dei due amanti sono eco remote ma vicinissime, spettri gentili di un film annegato in un disco.

Quel tramonto di Gigi




In uno dei tramonti più belli che il cinema ricordi, si consuma l'ultimo addio all'innocenza, il commiato definitivo al tempo dei giochi e dell'infanzia. Dietro allo sfarzo dell'aristocrazia parigina, Gigi è ancora libera di sognare. E noi, da sempre innamorati delle Cenerentole e dei brutti anatroccoli, siamo con lei.

Radiazioni BX distruzione uomo




Dissolversi in un atomo, scivolare via nei vastissimi regni dell'infinitamente piccolo, farsi, tutto a un tratto, coscienza pulsante dell'universo. Tra microcosmo e macrocosmo, tra microbo e galassia, c'è una finestra segreta che conduce direttamente all'estasi. Ed ecco che "Radiazioni BX distruzione uomo" di Jack Arnold da strepitoso b-movie sulle proporzioni alterate si fa testo profetico sulla dissolvenza, sulla traccia, sulla dispersione del sé come coscienza interstellare. O come unico possibile Benjamin Button: l'incubo glorioso di ritornare al ventre materno, dritti fino all'origine del mondo.

Austerlitz




Più ripenso ad Austerlitz più mi convinco che quello di Loznitsa sia il più inquietante film sui fantasmi degli ultimi anni. Mi chiedo, che cos'è un resto se svuotato della propria memoria, che fine fa la Storia una volta che si è fatta immagine? A chi appartiene? C'è sempre uno scarto tra turista e memoria, tra selfie e rovina, fino a una morbosa, glaciale fusione. E le inquadrature fisse di Austerlitz sembrano testimonianze di un un mondo che non ha più ricordi, ma solo immagini.

Split




Uomini neri, come psycho esponenziali, partoriti da infanzie infelici. Alla base di Split, nuovo fenomenale incubo di M. Night Shyamalan, il desiderio irrefrenabile di avere 24 vite, 24 ipotesi di narrazione, 24 possibili reincarnazioni. Come nel caso Billy Milligan, la mente rende possibile alterazioni fisiche e potenziamenti continui. Split è racchiuso nella psiche scissa del suo protagonista, un sottosuolo di stanze narrative, un crocevia di possibilità esistenziali in balìa tra luce e oscurità. Un mondo sotterraneo dove è in corso un'irrefrenabile battaglia tra istinto e ragione, tra paura e desiderio, tra autorità e servilismo che mira esplicitamente a nuove, avanzate configurazioni dell'umano. Scisso, affascinante e fumettistico, come se fosse una personale risposta di Shyamalan alle derive supereroistiche di tanto cinema contemporaneo. Perché in fin dei conti cos'altro è Split se non il disturbante racconto di formazione di un nuovo, controverso supereroe?

Contact




Via crucis ed estasi di una santa, folgorata da una viaggio interstellare che tanto somiglia a una visione divina. Sbeffeggiata dalla gente del suo tempo, priva di qualsiasi prova scientifica, la sua parola chiede a tutti, semplicemente, di essere creduta. Bisogna credere, in fondo, per riuscire a vedere. A rivederlo oggi, Contact, film epocale e profondamente incompreso di Zemeckis, è geniale proprio come meccanismo di specchi e di riflessi: lo spazio è perfino deludente, perché il vero ignoto, il vero sense of wonder, è dentro di noi. E' il sentimento a legittimarci come uomini, la nostra attrazione per l'altro (come in Hereafter di Easwood), vero, ignoto spazio profondo. In fondo, Contact non si stacca mai da terra, il contatto del titolo è l'adesione cieca, appassionata a un sogno più grande, come se si trattasse di un profondissimo sentimento religioso. Tutto il cosmo, le stelle e i pianeti, si accendono e si spengono in un battito di ciglia. E Jodie Foster, come Danzel Washington nel finale di Flight, fa della sua integrità, della sua umanità, l'ultimo e più importante baluardo della morale occidentale. Da vedere, rivedere e amare incondizionatamente.