giovedì 18 febbraio 2016

Addio Andrzej, ti ho amato come pochi




Se devo pensare a un regista che mi ha educato alle immagini, che ha plasmato la mia idea stessa di vedere - e di fare - cinema, il nome di Andrzej Żuławski ritorna sempre. L'ho scoperto come molti altri, guardando quel "Possession" che rappresentò per me, appena diciottenne, un autentico shock visivo ed emotivo. Non riuscivo a togliermi dalla testa quel terremoto di immagini, il corpo epilettico di Isabelle Adjani, gli sguardi oscuri di Sam Neill. Erano immagini continuamente ritornanti, dalla forza così dirompente, così vitale, da far traballare qualsiasi formato. Poi, poco più tardi, mi sono reso conto che Zulawski non era solo "Possession". Ho intrapreso un viaggio all'interno del suo cinema, con gli occhi pieni di un ironico, strutturale terrore, come se fossi sempre pronto a un ribaltamento radicale di ogni schema a cui era abituato. Zulawski mi ha insegnato a guardare, dal suo folgorante esordio "La terza parte della notte", passando per le oscurità libidinose del "Il diavolo", per melò furibondi come "L'importante è amare", per capolavori anarchici in grado di rileggere perversamente Dostoevskij come "Amour Braque" (dove la folle, vibrante, debordante poetica di Zulawski ritrovava nel musical la sua stessa essenza). Il suo era un cinema continuamente alla ricerca di un altro spazio, di un altro tempo, all'interno stesso delle inquadrature. E poi ci furono "La femme publique", "La sciamana", "Le mie notti sono più belle dei vostri giorni", "La nota blu" e il clamoroso, sottovalutatissimo "La fidelitè" (oltre all'opera mai vista, introvabile e bramata per tanto tempo, "Boris Godunov", quella stessa opera che mi auguro di vedere al più tardi possibile, per rimanere fermo nell'attesa che debba ancora vedere un altro Zulawski).
Infine arrivò il film che più di tutti rappresentò una vera e propria bomba emotiva, il work-in-progress come radice strutturale del suo stesso cinema: "Sul Globo d'Argento" che rimane, ancora oggi, tra le cose più belle, più strazianti che abbia mai visto. Alla visione di una storia che si ripete senza varianti, di una parabola cristologica gettata nel sangue di un altro mondo, sono tornato tante volte. Perfino vedendo il monumentale "Hard to Be a God" di German non potevo fare a meno di ripensare al mio amato, ossessivo globo d'argento, che era ormai divenuto il magma stesso da cui immaginavo nascessero tutte le storie zulawskiane.
Poi, pochi anni fa, ebbi l'incredibile possibilità di intervistarlo qui a Roma, assieme a una piccola squadra di Point Blank, in un albergo vicino al cinema Trevi. All'inizio ci guardava in maniera un po' ostile, lui che era famoso per essere pignolo e, spesso, intrattabile con la stampa. Poi una domanda legata alla luminosità di "Possession" lo entusiasmò tanto da "fidarsi" di noi. Ricordo solo che l'ultima frase che mi disse, dopo l'intervista, mentre io gli raccontavo che avevo appena iniziato a lavorare a un film, fu in italiano: "In bocca al lupo per vostra carriera di registi". E fu un regalo bellissimo.
Ci ripenso oggi che è scomparso, subito dopo aver girato un film come "Cosmos" che è stato l'unico in tutta la sua filmografia a lasciarmi non poche perplessità. Ma sapevo che stava già progettando un altro film e l'attesa, la stima infinita, l'attrazione per le sue immagini vive e carnali, non erano mai diminuite.
La scomparsa di Zulawski lascia oggi un'incredibile vuoto non solo nel mondo del cinema, ma nei miei stessi occhi, sempre ingordi e famelici di nuove, assurde immagini di quell'alieno polacco che mi ha fatto sognare.
Addio Andrzej, ti ho amato come pochi.

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