venerdì 2 gennaio 2015

Trucchi fatati: The Babadook




L'orrore come elaborazione del lutto, come dramma famigliare acceso e rilanciato a ogni nuova sequenza. Quali spettri dell'infanzia, si moltiplicano i sussurri del Babadook, ennesimo uomo nero questa volta interessato a estremizzare i conflitti di una relazione madre-figlio.
Lontano dalle mode trite e ritrite di tanto cinema horror contemporaneo, "The Babadook" è un film che presta attenzione alle frustrazioni e ai sentimenti di una madre vedova. Ogni singolo moto d'animo, che in tanti altri horror sarebbe stato confinato a elemento di sfondo, diventa qui autentico protagonista, capace di inquietare e deformare qualsivoglia passaggio narrativo.
Con insolita sensibilità, Jennifer Kent è consapevole che la fragilità della mente umana è capace di produrre i mostri più spaventosi, fino a sprofondare nell'incubo indicibile della possessione. La paura va ricercata nei legami affettivi, all'interno delle proprie mura domestiche, allo scopo di rendere spaventoso ed estraneo tutto ciò che c'è di più famigliare. L'incubo taciuto di ogni bambino, il fatto che la propria madre possa fargli del male, diviene il cuore pulsante della seconda parte del film. Dopo una parte insidiosissima, ogni cosa si fa sempre più asfittica, al servizio di una regia che non ha venduto i tempi dell'horror a mode splatter e videoclippare, ma sa bene che la paura è un fatto di tempo. E, quando meno te lo aspetti, "The Babadook" riporta tutto l'orrore, il mistero e la meraviglia, al suo terreno d'appartenenza: i trucchi fatati di mélièsiana memoria.

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