mercoledì 23 settembre 2015

Poetiche del colonialismo: Beast of No Nation




"Beast of No Nation" di Cary Fukunaga, la più cocente delusione del festival di Venezia 2015. Progetto difficile e ambiziosissimo sui bimbi-soldato africani. Mescola altisonanti derive malickianead allucinazioni coppoliane, senza mai riuscire a gestire il materiale filmico. Dalla prima all'ultima inquadratura Fukunaga osserva edulcoratamente la realtà che racconta, la osserva dal di fuori, come un testimone comodo che scava nella violenza per cercare nient'altro che l'effetto. Ciò che manca, ed è paradossale, è il vero dolore.La rappresentazione stessa della violenza appare completamente studiata a tavolino: come strumentalizzare l'alterità attraverso pesanti voice over, musiche onnipresenti, ondate di retorica moralmente inaccettabili per un film del genere. Anche nei suoi passaggi più gravi non c'è un'istante di verità, rimane solo il riflesso pallido di una tragedia che non si ha mai davvero il coraggio di affrontare. Ciò che si vede, in continuazione, è solo il set e la costruzione filmica. Moralmente inaccettabile per come, ancora una volta, il cinema americano più becero propone una scorrettisima poetica del colonialismo.

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