martedì 7 ottobre 2014

Black Blood




Nostalgia struggente per meraviglie invisibili e oggetti filmici inclassificabili. Penso a "Black Blood" di Zhang Miaoyan, visto una volta in un festival di cinema asiatico al Macro di Testaccio qui a Roma, e poi perso per sempre. Film dissolto nella mia mente, di cui ho cercato disperatamente supporti fisici o digitali senza alcun esito. Le cose belle, le cose più belle forse, sono quelle che vedi una volta e mai più: ti rimangono le immagini, confuse, lontane, ma fortissime. Eppure con "Black Blood" è successo qualcosa di diverso, perché mi sembra di averlo visto ieri. E, paradossalmente, più passa il tempo meglio lo ricordo.
Cosa mi rimane di quell'Ufo che era Black Blood? Lande desolate, spazi enormi di un deserto che pare estendersi all'infinito. Qui, ormai, si vende letteralmente il sangue per mantenere la propria famiglia: il capitalismo si è impossessato completamente del corpo, luogo di nuova, vergine economia. L'obiettivo è quello di metter su un'autentica impresa del sangue. E mentre le azioni si ripetono in una spirale apparentemente senza fine, ti viene in mente una versione cinese di Béla Tarr che sogna un finale alla Herzog.E all'ombra di un'apocalisse che si avvicina, si continua ad bere enormi quantità d'acqua per aumentare la fluidità del sangue-capitale.

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