martedì 29 luglio 2014

Operazione-nostalgia:
"Jersey Boys" di Clint Eastwood




Il cinema di Clint Eastwood a mio avviso non è mai stato nostalgico. Durante la visione di "Jersey Boys" qualcosa però si è spezzato, già a partire dal suo look visivo: è come se, più di qualsiasi altra volta, il film fosse chiuso in se stesso, con gli occhi rivolti solo al passato. Non più un film che ci guarda ma un'opera patinata, infiocchettata dalla prima all'ultima inquadratura. Non voglio dire che non ci siano sequenze memorabili (basta solo pensare alla splendida e coreografica sequenza dei titoli di coda), ma tutto scorre come se fossero una serie di figurine d'altri tempi, a partire dai personaggi e da ogni svolta narrativa. Ne deriva un'operazione affascinante ma anche dolorosamente sterile. Certo ci si può lasciare andare all'incanto, oppure si rimane freddi e distanti, anche a causa di una ventina minuti di troppo e di un ritmo mai ben calibrato. L'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di edulcorato e insieme di finito, di completo, senza occhi per l'esterno, rende il film un oggetto da osservare senza mai una vera e propria partecipazione. E' forse, duole dirlo, il film più senile di Eastwood.


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