lunedì 14 aprile 2014

"Un lac" di Philippe Grandrieux
L'occhio di un cavallo, la bocca di un ragazzo




"Un lac" è un film che trema
(e palpita, e sente, e gioca, e perfino teme).

Ogni sentimento, ogni singolo movimento, ogni ipotesi di umanità ritorna a pura, genuina, fragilissima autenticità. Un altro mondo fuori dal mondo per un'opera che si fa (s)oggetto guardante e misterioso, così personale da dichiarare ad ogni istante la sua stessa essenza. E' come un Ufo lontano da tutto e tutti, che racconta i giorni e le notti di una famiglia isolata che cammina lungo boschi innevati. E la macchina da presa di Philippe Grandrieux, frenetica eppure dolcissima, tenera e assieme epilettica, è il personaggio che non può rinunciare al suo movimento convulsivo, terrorizzato com'è da qualsiasi ipotesi di stasi. Uno sguardo interessato alle mani che emergono dall'oscurità, ai piccoli gesti che i nostri occhi atrofizzati avevano smesso di guardare, al fuori fuoco dell'immagine come scavo ipodermico e al terremoto che si fa proprium dello sguardo, sua componente intrinseca e necessaria. Quelle mostrate sono figure accostate all'inseguimento di nuove geometrie, che sono poi le forme del cielo e della terra, della luce e dell'oscurità, fino all'occhio di un cavallo e alla bocca di un ragazzo, protagonisti di uno spazio che sembra aver dimenticato il tempo.

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