domenica 20 aprile 2014

Il ritorno di Jia Zhang-Ke:
Il tocco del peccato




Scorrono davanti agli occhi le immagini de "Il tocco del peccato" di Jia Zhang-Ke e un pensiero fisso veicola ogni luce, ogni primo piano, ogni efferatezza: l'idea di un male extra-ordinario che esplode come furia improvvisa e non sente ragione alcuna, perché alimentato dal quotidiano, perché strutturalmente incontinente, perché impossibile da controllare o mediare. I quattro personaggi che formano i rispettivi episodi del film di Jia arrivano a un punto limite, a un momento di massima tensione. Quell'istante è un attimo assoluto, un punto zero o di non ritorno, in cui si infrange il comandamento, in cui si smette di essere uomini (o forse, in cui si è uomini all'ennesima potenza). Furie omicide che hanno abbattuto la legge perché il mondo le ha calpestate, che cercano una catarsi impossibile macchiandosi del sangue altrui. La distruzione come (ultima) via di un violento, traumatico risveglio.
Sorprendente è allora l'anomalia, la diversità, il guizzo inatteso del finale del quarto episodio, formidabile nel suo disattendere le aspettative, nel suo calare il sipario nel momento stesso in cui la protesi - l'arma con cui ognuno dei personaggi uccide - pareva lanciare una nuova strage. E invece in una Cina sotterranea, robotizzata, sempre sul punto di detonare, il massacro più grande è quello nei confronti di se stessi. E se anche gli animali si suicidano, allora il quarto episodio è la chiosa terribile, politica e dolorosa, di un intero Paese.


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