giovedì 15 agosto 2013

Qualcuno deve gridare
che costruiremo le piramidi




«C'è una speranza che l'uomo sopravviva, nonostante tutti i segni del silenzio apocalittico preannunciato dall'evidenza dei fatti?»
(Andrej Tarkovskij, Scolpire il tempo)

Salto nel vuoto, salto d'amore.
Il cinema di Tarkovskij è situato a un passo dalla catastrofe, in un mondo troppo impegnato a continuare la sua farsa per poter realmente vedere. Il suo profeta, che sia uno stalker, uno scrittore o un pittore, può riconciliarsi con la terra e con l'assoluto solo tramite il gesto. Solamente un atto estremo, che appare insensato, completamente al di fuori della ragione, deliberatamente gratuito, potrà salvare il mondo (come credere nella stanza dei desideri o lanciare dei dadi per indicare la strada all'interno della zona). La dinamica del sacrificio percorre il cinema tutto di Tarkovskij sottolineando il momento di una dolorosa conciliazione, l'ipotesi (e l'augurio) di un'unica, estrema salvezza dell'uomo. Credere, ancor prima di vivere (perché la bellezza, è proprio vero, salverà il mondo). L'Eroe di Tarkovskij è figlio dell'Idiota doestoevskiano, è fragile (ma quella sua fragilità, quella sua debolezza è forza ed è vita), dolente, tutto umano, e si trova già da solo in piedi sul vortice del nulla, eppure è ancora in grado di saltare.
Per guarire il mondo un uomo fa l'amore con una strega e poi brucia una casa. Bisogna guardare oltre: come la tradizione russa insegna il folle rimane l'ultimo dei santi. Un avventuriero potrà volare prima del tempo con un pallone aerostatico (ma la creazione richiede sempre un sacrificio, volare significherà anche morire), e un ragazzino farà suonare la campana nonostante non conosca il segreto della fusione. E, lontano dalla sua casa e dalla sua terra, Gortčakov attraverserà la piscina di Bagno Vignoni, nel tentativo assurdo, estenuante, devoto di non far spegnere la fiamma, di conservare ancora la luce.
Solo un gesto estremo potrà salvare il mondo.

«Qualcuno deve gridare che costruiremo le Piramidi, non importa se poi non le costruiremo» (Domenico in "Nostalghia")



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