giovedì 25 aprile 2013

Una storia che continua...
"Dans la maison"




Alla vita una narrazione, alla famiglia un teorema, allo sguardo una formula, al pensiero una parola, alla scrittura una grammatica, alla solitudine un’intrusione.
Germain, docente di letteratura presso il liceo Flaubert, viene piacevolmente sorpreso dalla qualità inaspettata di un tema di un suo studente, il sedicenne solitario Rapha. Il ragazzo racconta la sua prima visita nell’abitazione borghese del suo migliore amico, descrivendo i rapporti di una famiglia ferita sotto le superfici lucenti di un sorriso o di un bel quadro appeso al muro. Ciò che maggiormente colpisce Germain è la scritta “continua…” che appare alla fine del tema. Il docente stimolerà Rapha a scrivere ancora della famiglia e l'esercizio iniziale si trasformerà in una pericolosa ed ossessiva intrusione scopica nella vita degli altri.
In “Dans la maison” le superfici che continua a filmare François Ozon sono riflettenti più che mai: reiterando il suo gesto filmico – e svelando il meccanismo narrativo – trasforma una commedia nera declinata come un thriller in un film-saggio sulle possibilità della narrazione, sulla reversibilità delle storie e la loro essenza intimamente matematica. Ecco allora che si entra in un circolo di ambiguità e di sospetti, in una falla nella distanza che intercorre tra lo sguardo e l’immaginazione. Perché qui guardare, o meglio spiare, è soprattutto immaginare (e poi scrivere): nascosta, invisibile, la pulsione scopica ritorna ma mette in crisi lo stesso atto di guardare con i propri occhi. Non che ci siano macchine o protesi a separare l’occhio dalla sua vittima, ma è lo sguardo stesso a non essere più affidabile, a vedere suicidi immaginari e a essere continuamente messo in dubbio dalla mente (e dall’immaginazione). Rapha, il talentuoso ragazzo protagonista, è l’ ennesimo ospite inatteso di Pasoliniana memoria (ogni riferimento, tra l’altro, è immediatamente confessato dalle parole del suo professore). La materia vivente che osserva è plasmabile, ricostruibile in ogni suo scritto, tra le righe di quel “continua…” che rende sempre più labile la divisione binaria tra vita e scrittura.


La storia pare procedere come nella migliore tradizione del cinema Alleniano che racconta i propri personaggi con uno humour acido ed irresistibile: ma in questo Woody Allen d’oltralpe si intromettono, gradualmente, elementi di profonda inquietudine. Come vedremo nella straordinaria, tanto Hitchcockiana quando Zbigiana ultima inquadratura, il mondo è una finestra (o mille finestre) sul cortile: tutto è narrazione, la “realtà” è pronta ad essere modellata, ingannata, caricata, sovvertita (ma mai rispettata, aggiungerei). La mente, famelica e onnivora, ricostruisce ogni evento, ma anche ogni sguardo e ogni piccolo gesto, in dieci, cento, mille potenziali narrazioni, edificando storie su storie per sentirsi meno sola. E in questo gioco dello sguardo la vittima sarà il professor Germain stesso, vero interesse del mondo reale ed immaginario (ma poi c’è una differenza?) di Rapha.
Se “Holy Motors” cantava, vagante e nostalgico, la fine di ogni narrazione, “Dans la maison”, che si muove su binari ambigui, quelli labili che separano la realtà dalla fantasia, racconta un mondo, malato di solitudine, che si è ormai fatto storia.

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