mercoledì 18 maggio 2016

Un sogno lungo un giorno




Disegni di luce, piroette di colore, forme scintillanti di vero amore.
Un sogno lungo un giorno, capolavoro estremo di Francis Ford Coppola, rappresenta il punto di convergenza massimo tra il cinema classico e quello del futuro: qui c'è già la virtualità del nostro presente, c'è già Holy Motors, c'è già il ventunesimo secolo che, nell'arco di un canzone di Tom Waits, si sposa con la Hollywood di Minnelli & Co. Un sogno lungo un giorno è un film di magici incontri, di sguardi indietro che rivelano il loro statuto di profezia (è o non è questo un dono dal futuro?). Siamo in una fiaba ipercinetica che, come un razzo impazzito, si lancia nel cuore stesso del cinema.
Mai un film è stato così macchina del tempo, così viaggio interstellare: d'altronde quello di Coppola è un musical di fantascienza sapientemente iscritto all'interno di una storia d'amore. Storaro disegna emozioni con la luce, crea set immaginari e impossibili, sovverte il giorno e la notte, fa del cinema una magnifica ossessione.
Il cibo è incollato ai piatti, il sole è la potente, inebriante luce di un proiettore, il mondo si trova tutto in un teatro di posa: il massimo dell'artificio, mescolato ai cromatismi estremi della nostra immaginazione (qui vedi Fellini, lì vedi Fassbinder), regala la più piccola, la più universale delle storie d'amore.
Ogni teoria crolla e ti scopri, ancora una volta, a credere negli ennesimi lui e lei che devono, necessariamente, tornare insieme. Il più grande "fallimento" di Coppola è in fondo il suo film più illuminato, più definitivo, più "ultimo", perché ci ricorda come ogni "storia del cinema" sia in realtà una storia di luce, una storia d'amore.

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