venerdì 3 maggio 2013

Prime impressioni di post-visione:
"To the wonder" di Terrence Malick




Sospeso e svuotato.
Primi commenti di post-visione, poche parole in occasione di poterne scrivere in maniera più approfondita.
Vorrei parlare della scomparsa e dell'assenza, di come si possa saturare il vuoto, di quell'abisso percepito a ogni inquadratura, a ogni stacco netto, a fine film.
Vorrei parlare di quel profondo senso d'inquietudine, solitudine e nostalgia, ben sapendo che non ci sono più alberi della vita né grandi Storie in cui potersi rispecchiare.
Si nasce nel digitale della bassa definizione, nella consapevolezza che la bellezza pervade ogni cosa di questo mondo, ma nella tragica situazione di chi non riesce più a vederla né a sentirla. Come nomadi che cercano di catturare con lo sguardo ogni piccola epifania di luce, ogni singola rivelazione, mi rendo conto che guardare è cercare (ed amare). Ma ci ritroviamo soli, sempre soli.
Il progetto Malick, a mio avviso, inizia a delinearsi più chiaramente. In terre desolate nullifica la narrazione tornando sempre al crepuscolo, dove ogni immagine è tesa a squarciarsi, addizionandosi e inabissandosi.
Solo lui sa muoversi in perfetto equilibrio tra sublime e banale, tra bello e ridicolo.
"To the wonder" è un'opera talmente fragile che distruggerla sarebbe facilissimo.

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