venerdì 9 ottobre 2015

Se The Martian è Matt Damon...




Al servizio di una buona sceneggiatura, Ridley Scott non può che confermare il suo strepitoso talento visivo. "The Martian" è in fin dei conti una riuscitissima commedia fantascientifica, un Cast Away su Marte che trova tutta la sua forza nel non prendersi mai completamente sul serio (più osa, senza paura del ridicolo, più funziona).
Ho apprezzato subito il tocco leggero del film, l'essere in tutto e per tutto un'opera che riflette sugli schermi, sulle modalità di comunicazione, sulle possibilità della rete (il "villaggio globale" non si ferma alla Terra, ma arriva perfino su Marte). In fin dei conti il Wilson di turno altri non è che lo schermo attraverso cui confessarsi: bisogna parlare alla propria stessa immagine per mantenere lucida la mente, viva la speranza ma, soprattutto, per non sentirsi soli.
Intercettata una formula linguistica (il montaggio alternato di Marte-Spazio-Terra), "The Martian" riflette sulle distanze per poi eliminarle, facendosi manifesto di un mondo, di una cultura, di una comunicazione completamente convergenti.
Accusarlo di mancanza di un sense of wonder sarebbe cosa assai fuorviante, semplicemente perché il film è interessato a ciò che conosciamo (e a ciò che si rischia di perdere), mai all'alieno, mai all'ignoto, mai allo sconosciuto. Solo la parte finale, quella degli equilibrismi spaziali, non può che riportare alla mente gli incidenti di Gravity, il fluttuare nello Spazio, la paura per la deriva. Ma è un istante.

p.s. se mai un giorno si dovesse scrivere una fenomenologia di Matt Damon, continueremo sempre a vedere l'uomo qualunque catapultato in contesti drammatici. Come Ryan, ancora una volta, Matt Damon dev'essere salvato. E, di nuovo, la sua missione è una sola: resistere e sopravvivere, malgrado tutto.

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