lunedì 10 febbraio 2014

Riflessi dal desiderio:
"Two lovers" di James Gray




"Two Lovers" di James Gray è un film esemplare fin dal titolo: protagonista un desiderio che diviene subito fonte incontenibile, esplosiva, in grado di divorare l'anima, di escludere qualsiasi scialbo, baluginoso chiarore. E' un desiderio, al contrario, esclusivo, cieco, orientato solo verso un bagliore fortissimo, un'epifania, un'illuminazione improvvisa, che c'è e non c'è, che folgora e acceca, che uccide e vivifica: il sogno divenuto carne ha il corpo di Gwyneth Paltrow, che sembra configurarsi come visione, spettro notturno, biondo e artificiale, immagine da contempleare che si rivelerà impossibile da vivere. E' la ragazza della finestra accanto, già incorniciata in un'inquadratura perfetta, è - ancora di più - il cinema come infinito "what if", quello stesso cinema che tanto ama il protagonista di "Two Lovers". Il mondo spiato dalla finestra ha la consistenza del sogno, della proiezione, del desiderio erotico introiettato e generato dalla forza dello sguardo.
Joaquin Phoenix dà vita all'ennesimo, straziante perdente della sua carriera, costretto ad affogare in un oceano di consuetudine, in una vita reale che lo consuma fin dalle interiora. Sembra sempre sul punto di esplodere, perché vive di carne e passione, accecato da quella stessa immaginazione che lo mantiene vivo.
"Two Lovers" di James Gray è cinema del controluce, del movimento interno, ma soprattutto del riflesso: due donne, una impossibile l'altra reale, due relazioni, una imprevedibile l'altra già vista-già vissuta, e un'occasione per andare via, per sfuggire da un microcosmo famigliare che tutto inghiotte.Due coppie, diverse età, due occhi per guardare, altri per piangere: il classico diviene impensabile senza essere "neo" e James Gray si fa cantore di un cinema di spettri e possibilità, di rimpianti e di sogni, per poi finire a scontrarsi, ancora una volta, con la realtà. E lo sguardo della Rossellini posato sul figlio che è tornato è uno dei più strazianti degli ultimi anni. Fino a quell'inquadratura finale che chiude (e apre) un mare di dolore e di ambiguità.

Perfettamente iscritto in geometrie hitchockiane il melodramma rinasce come pura, vitale (e distruttiva) pulsione scopica.



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