lunedì 2 giugno 2014

Rivedendo "Principessa Mononoke"




Non capita spesso, ma adoro quando mi mancano le parole per parlare di un film, perfino di uno che ho visto e rivisto tante volte. Eppure, tra tutte le opere di Miyazaki, "Principessa Mononoke" è una di quelle che più mi lascia attonito e silente, con quella stessa espressione di meraviglia che pare di leggere sulla faccia di un bambino che vuole sognare ancora e non essere risvegliato. Quello stesso bambino che non si perde in parole e ragionamenti ma desidera solo viaggiare tra le immagini, libero di gioire, cadere e infine di rialzarsi.
Con Miyazaki la sensazione che le parole non servano, che bastino solo le immagini a "dire" il film, è quella che riemerge in continuazione (come capitò anche con "La città incantata" o con l'ultimo, meraviglioso, "The wind rises"). Basta dire che nel finale (visto finalmente su grande schermo) mi è quasi sembrato che quell'indimenticabile rinascita cromatica fosse addirittura in grado di scheggiare, erompere, fuoriuscire dallo schermo stesso. Sono visioni, queste, che rimangono.

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