mercoledì 27 maggio 2015

Il primo piano di Margherita nel Faust




Primi piani già pronti a incendiare lo schermo.
Cristalli di luce dove il tempo si è fermato, affondando nel bagliore accecante di uno spazio sconosciuto. In questa dimensione altra, il volto è quella figura segreta capace di sprigionare la potenza disioniaca di tutto ciò che è altrove e sconfinato.
Dove siamo? Cosa sono queste radiazioni di luce che bucano lo schermo?
E' come se, improvvisamente, l'interno bruciasse l'esterno, oltrepassando cornici e formati, in un radicale (e dolcissimo) rifiuto dello spazio. Questo è quello che io chiamo shock.
Il volto di Margherita è già, di per sé, l'atlante probito del cinema tutto, la terra desolata, il deserto senza fine, il settimo continente cui tornare sempre a perdersi ed errare. E' il primo piano che disvela l'invisibile e, mentre oltrepassa l'immagine stessa, scopre i fantasmi (angeli o demoni che siano) della sua stessa apparizione.

venerdì 22 maggio 2015

Sehnsucht




E' solo un attimo.
Ricordi che si accendono e si spengono nella mente.
E una nostalgia struggente per tutto ciò che non si è mai vissuto.

Appunti: Il colore è una visione, un lampo, un modo per ricordare, fissare il mondo nella propria testa.
L'altro mondo, l'altra Heimat.



Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht (Edgar Reitz)

Rinascite?




Quotidiani, riviste, televisioni, per non parlare della valanga di commenti online, non fanno che parlare di una presunta rinascita del cinema italiano, per il semplice fatto che tre titoli nostrani siano in gara al concorso internazionale di Cannes.
Eppure si potrebbe parlare di rinascita se esistesse un trait d'union, una scuola comune (che non vuol dire sguardo comune) sostenuta da un Paese realmente interessato a valorizzare il suo cinema.
Sorrentino, Moretti, Garrone, sono tre autori dalla poetica estremamente riconoscibile che, più che rappresentare l'Italia, rappresentano unicamente se stessi e la loro visione di cinema (e, per carità, non c'è nulla di sbagliato in questo). La trita e ritrita retorica della rinascita, della nuova, fiorente stagione del nostro cinema, è figlia di un provincialismo becero e colpevole - perché ci fa credere che questa povera Italietta faccia qualcosa per legittimare e proteggere una cultura sempre più assente.
Se un premio finisse a uno dei "nostri", si diffonderebbero raffiche di commenti su un'edificante vittoria nazionale (nemmeno fossimo allo stadio). Peccato che quella stessa Italia, all'inseguimento della ribalta mediatica e così profondamente, falsamente chic, non abbia mai puntato lo sguardo su tantissimi autori nostrani molto più sotterranei, giovani e (spesso) interessanti. Tutti loro sono affossati da un palese disinteresse mediatico, come buchi neri nell'indifferenza culturale della nostra vecchia e stanca penisola.

Moretti l'ha detto meglio di tutti: "Sono molto contento che ci siano tre film italiani in competizione e altri titoli nostrani in varie sezioni del festival. Ma la mia impressione è che questo sia ancora il risultato di iniziative individuali di registi e produttori mentre il clima in Italia intorno al cinema, sia come fenomeno industriale che artistico, è sempre molto distratto".

domenica 17 maggio 2015

Mad Max: Fury Road - Il cinema del futuro




Follia ipercinetica proiettata in deserti postatomici, opera rock anarchica e visionaria che fa della benzina il sangue digitale del nuovo mondo. Qui i corpi perdono peso e gravità, smateralizzandosi in infinite terre di sabbia o nelle notti oscure di cavalieri erranti e spettri infernali.

(magnifiche tutte le sequenze notturne in cui un colore caldo investe una figura femminile, isolandola all'interno dell'immagine, fino a creare un nido materno, uterino, rossastro, da cui il digitale sembra prendere vita. Tutto il film pare infatti la storia di due colori che s'incontrano e si scontrano: le distese gialle del deserto, irradiate dalla luce del sole e le virate blu di una notte dal sapore quasi zulawskiano - il colore oscuro degli antichi globi d'argento.)

"Mad Max: Fury Road" è tutto questo ed è molto di più.

Due ore di cinema purissimo e infuocato, inseguito ardentemente dal genio visionario di George Miller. Egli, coreografo punk di danze infernali, orchestra una clamorosa ode al cinema d'azione, formata da un solo, irrefrenabile inseguimento, pronto a far saltare in aria il mondo intero.

Nell'iperspazialità del deserto, distesa infinita e perennemente identica a se stessa, ogni corpo si fa miraggio spettrale ed errabondo, massa dionisiaca capace di sputare fuoco e sangue mentre fagocita chilometri di nulla. Il movimento febbrile, estatico, di una band di rockstar impazzite, la velocità ipersonica di veicoli che sfrecciano sulla sabbia, le acrobazie antigravitazionali dei guerrieri del male: ogni immagine slitta, deforma, gioca con le sue unità, taglia e aggiunge fotogrammi, fino a scatenare un purissimo crash. In questo crash Miller rintraccia l'erotismo sfrenato del motore, dislocato da qualsiasi narrazione possibile, avulso a qualsiasivoglia psicologismo, interessato unicamente al dinamismo elettrico e sensuale del corpo esploso (e sempre più meccanico: essere un corpo solo con la propria macchina, una massa indivisibile di carne e motore, di sangue e benzina: uomini-macchina, uomini-moto, arti meccaniche che sostituiscono parti del corpo).



George Miller, in questo sbalorditivo riaggiornamento di Mad Max, ritrova nel cinema d'azione la purezza fondativa, aurorale della visione numerica. Lavora verso una poetica dell'adrenalina che, veicolando il rapporto tra corpo e spazio, riscopre la magia testosteronica della velocità. Con un'intuizione strepitosa, costruisce il suo film con una serie di slittamenti continui. Supera il suo eroe per intercettare la forza e il coraggio in un Max declinato al femminile: il personaggio incredibile di Charlize Theron, paladina di un nuovo mondo, pronta a rivendicare un nuovo matriarcato femminile.

(penso ripenso alla sequenza che segue la bellissima tempesta di sabbia, quando Max assiste a un'autentica fata morgana: l'apparizione di queste donne bellissime e guerrigliere, miraggio scottante di una società altra, dove il potere è donna Riecheggia, tra le dune del cinema, Faster Pussycat, Kill! Kill!, e tutte le vendicatrici, le paladine di una nuova giustizia, le incarnazioni femminili di una società capovolta. Ecco che la distopia di Mad Max si trasforma in utopia femminista)

Chitarre che sputano fuoco, tamburi aggressivi che ritmano diegeticamente tutte le fasi dell'inseguimento, come in un concerto rock itinerante. Il narratore 2.0 è la musica stessa che - in diretta - suona sui cadaveri.



"Mad Max: Fury Road" non conosce sospensione, non conosce pause, ma procede per accumulo fino a investire fisicamente il corpo spettatoriale stesso, catapultato in un autentico cinema esperienziale. Miller pare quasi un direttore d'orchestra, che suona, ribalta, disintegra i suoi corpi, facendoci sentire il ruggito dei motori, l'adrenalina del salto, il sapore della vittoria. Tra campi lunghi che contrappongono l'eterna quiete del deserto e il movimento elettrico, frenetico degli ultimi uomini, il fim perde progressivamente materia fino a giungere a una radicale astrazione delle forme. I volumi allora si smaterializzano tra granelli di sabbia e cadute roboanti, verso uno sguardo che si fa sempre più liquido.

George Miller si conferma così un cineasta anarchico ed eversivo, che mentre conserva lo spirito di un cinema d'azione che non esiste più, proietta le sue ombre deformi e rivoluzionarie sul futuro: verso un'estetica della contaminazione, tra liquido e solido, tra aria e materia. Sempre in movimento, sempre in agguato, sempre Mad Max.
Clamoroso.

giovedì 14 maggio 2015

It Follows - dalla soggettiva di un altro




Venire incontro, camminare verso, seguire e poi, infine, disattendere.
"It Follows" - fenomenologia dell'horror dopo tutti gli horror, oggetto filmico dal cuore strepitosamente carpenteriano, fa del sesso l'esperienza iniziatica, il conduttore del virus, l'origine stessa di una realtà scheggiata, sospetta, perennemente deformata.
Opera molto più complessa di quanto potrebbe apparire, già dalla sua dislocazione temporale, in quel presente anni ottanta che toglie la tecnologia dal mondo per innescare una voragine nei rapporti umani. Finte oggettive che rivelano un punto di vista alieno (la soggettiva è sempre in agguato), tutto proteso a spiare una ragazza costantemente catturata dallo sguardo altrui: quello di chi la pedina, quello del regista, quello dello spettatore stesso. E, tornando al principio del genere, il talentuoso David Robert Mitchell rintraccia il fondamento di ogni paura, la matrice di ogni pericolo, nell'altro da sé (ogni Tu è pericoloso, come insegnava Carpenter ai tempi de "La cosa"). Quel che si genera è una vera e propria fobia sociale. Non importa che poi ci sia qualche fisiologica caduta verso il finale, "It Follows" è cinema di sguardi che perforano e uccidono. Ci ritornerò presto.

lunedì 11 maggio 2015

Sognando Pelešjan




E quando le immagini che vedi non fanno altro che attorniarti, ti viene una gran voglia di fermarti e lasciarti andare. Arrivano in soccorso, come amici lontani, antichi pastori armeni che scivolano lungo i pendii innevati abbracciati all'amato gregge. E allora appare la goffa, tenera sagoma nera di quell'uomo che tentò di salvare una pecora dalle acque torbide di un torrente e, per poco, non finì per annegare. Rimane il fulgido biancore delle nuvole che avanza come un gentile, malinconico spettro proiettato su cielo nero. La luce emerge sempre dall'oscurità, mentre seduce l'occhio e inebria il cuore. Il tempo s'iscrive sui volti degli uomini, disegna rughe e cicatrici e poi prosegue nella più struggente indifferenza. Emerge allora il desiderio clandestino e impossibile di fermare le immagini, di tornare a fissare i fantasmi impressi su celluloide, e amarli, come se fossero vivi. Come a dire, amo solo il cinema che posso toccare, amo solo gli uomini che posso sentire. Il miraggio-Pelesjan esplode in mille pezzi, come l'ambizione di un montaggio a distanza che tra un punto e l'altro voleva inserire l'intero universo.
Una grande parentesi in cui c'era (già) la vita.
Mi rimane il desiderio (quasi) irrealizzabile che Pelesjan possa tornare, un giorno, a toccarci con le sue immagini. Oggi ne avremmo davvero bisogno.

Conoscersi




Conoscersi.
(quando un'immagine non cede a stacchi o dettagli, ma isola, protegge, salva le sue figure in un mondo a parte, lontano dagli orrori della guerra o dagli obblighi della narrazione. Dare un formato, una cornice, uno spazio al primo contatto, mostrare la scoperta di un'alterità gentile e compassionevole, che supera barriere linguistiche o nazionali. In poco più di tre minuti c'è già un mondo d'amore. Quando arriverà lo stacco il mondo sarà perduto ed entrambi i personaggi si avvieranno verso un destino mortale).

*Paisà di Roberto Rossellini

mercoledì 6 maggio 2015

Il finale di Stromboli




"Io ti salverò, creatura mia."
lamento straziante, salto nel buio,
il vulcano guarda, ascolta e grida
come se fosse proprio lui, il cinema,
a oscurare lo sguardo
e a risplendere di luce improvvisa.
Karin guarda le stelle
e le stelle guardano Karin,
che finalmente crede ancor prima di vedere
perduta per sempre tra le rovine della terra.