sabato 26 aprile 2014
L'Italia che non c'è più:
Porte aperte di Gianni Amelio
Oggi, probabilmente, fare un film come "Porte aperte" in Italia sarebbe molto difficile, se non impossibile. Per motivi socioculturali certo, per colpa di decenni di annichilimento spettacolar-televisivo, per il fatto stesso che la tentazione della superficie, dell'inchiesta facile e faziosa, del giudizio travestito da umorismo conciliatorio prenderebbe il sopravvento. Si dimentica la fragilità dell'uomo, anche - e soprattutto - dell'individuo di potere, una fragilità che immediatamente diventa forza. Non per niente "Porte aperte", forse uno dei più lucidi e bei film di Gianni Amelio, cita la morte vista in faccia da Dostoevskij, quel plotone di esecuzione, quell'istante sospeso e poi bloccato (e "L'Idiota" ne riporta tutte le fratture). Ma non è solo una questione di fragilità, è un fatto primariamente di sguardo. Lo sguardo di Amelio (di allora) era quello di chi credeva nella tensione morale, nel conflitto e nella passione civile, ma soprattutto in un cinema onesto che negasse completamente qualsiasi tentazione spettacolare: il cinema morale e ascetico di chi amava raccontare le cose in maniera sobria ed essenziale.
E poi c'era Gian Maria Volontè, volto imploso di un'Italia che non c'è più.
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