martedì 25 marzo 2014

I film che ci vedono:
L'infanzia di Ivan




Un paio di settimane fa vedevo una copia in pellicola de "L'infanzia di Ivan" al palazzo delle esposizioni qui a Roma ed ero colpito ancora una volta dalla purezza del ricordo, da quell'immagine sempre pronta ad aprirsi, ad assorbire in sé gli splendidi e armoniosi detriti di un mondo dimenticato, che la guerra vorrebbe - ma non ha mai potuto - riuscire a fagocitare.
E poi quando son cadute le mele, in un bianco e nero che irradiava lo schermo e già suggeriva un mondo di colori, sono tornato dopo tanto tempo a vivere, a camminare, a correre, a piangere nello schermo, e ogni capacità di analisi, ogni lucidità è stata obnubilata.
I grandi film, del resto, ci fanno dimenticare la sala e il respiro del nostro stesso vicino. Abbattono le distanze, cancellano ogni pensiero del momento, ti prendono, ti scoprono, ti esplorano, negano la possibilità stessa di sentirti soggetto vedente, perché sono loro stessi a guardarti. Mi succede con ogni opera di Tarkovskij ed è uno dei motivi per cui corro ancora al cinema nella speranza che un film mi veda.
Mi basta il sorriso di Ivan o la sua gioia, la sua spensieratezza, mentre corre sul mare insieme a un'altra bambina. Il passato è una chimera gentile che sopravvive all'insidie del tempo e a una guerra che ha corrotto l'infanzia: ma quel passato, sebbene lacerato, sebbene superato, da qualche parte è pur sempre esistito.
E mi pare che il termine speranza indichi proprio questo.


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