giovedì 20 marzo 2014

MacGuffin e teoria del bluff:
Note su un paio di film di Soderbergh





Prendete l'intuizione hitchcockiana per eccellenza, la falsa pista del MacGuffin ed espandetela per un film intero (verrebbe da dire per tutta una filmografia, ma il discorso è più complesso): ne verrà fuori "Effetti collaterali", teorico e strepitoso bluff di Steven Soderbergh, quel regista che fino all'ultimo ti fa credere di star vedendo proprio quell'immagine lì ma che in realtà sta dicendo tutt'altro. Gesti filmici reiterati, coltelli ritornanti, flashback patinati e anch'essi strutturalmente hitchcockiani: tutto si condensa in una struttura narrativa perfettamente tripartita, dove sembrano esistere tanti film differenti e dove, spesso, non sai assolutamente dove si andrà a finire. L'espressione algida e ambigua di Rooney Mara pare perfettamente iscritta nella geometria circolare di "Effetti collaterali", in una danza di farmaci che è, prima di tutto, parola di patina o immagine di superficie.
Perché, per paradosso, tutto viene ricondotto all'essere umano.




Costruire e decostruire, mentire forse, disinnescare meccanismi che il film stesso innesca, ripiegarsi, avallare, indagare, perdere le tracce perché (a sua volta) indagati: la detection si è annodata, persa in se stessa, all'interno dei suoi stessi rimandi filmici: la sorpresa non è che il tradimento (la totale, radicale disattesa di ogni aspettativa).

Post Scriptum necessario per la teoria del trucco: "The Informant", altro manifesto soderberghiano. Perché l'agente Whitacre - "furbo almeno il doppio di James Bond" - è IL personaggio del suo cinema. Moltiplicatore di menzogna, intesa come impossibilità fisiologica di dire la verità, nasconde dietro alla patina dell'uomo comune un mondo di sotterfugi e simulazioni, fino a perdere il concetto stesso di realtà - vacillato per sempre o, forse, mai esistito.



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