martedì 3 febbraio 2015
"La libertad" di Lisandro Alonso
Quando un film ci manca
ci si scopre così ad assistere alla giornata di un semplice taglialegna, dalle prime ore del mattino fino all'arrivo dell'oscurità. Il primo film di Lisandro Alonso, "La Libertad" è un'opera rudimentale, interessata ai singoli gesti quotidiani, che non vuole riflettere altro che se stessa e il suo protagonista: un uomo cullato dal grembo della natura, prigioniero di un'esistenza che si svolge sempre uguale, identica a se stessa, sempre già vissuta. Eppure, intorno a metà film, la telecamera si stacca dal pedinamento ossessivo del suo personaggio, per aprirsi a una soggettiva tra alberi secchi illuminati dalla luce solare. Sembra quasi un sogno in cui il protagonista è libero di vedere senza esser visto (la libertad del titolo), di esplorare piante e alberi con uno sguardo assai più lenticolare. Poi ritorna di nuovo a un mondo fatto di gesti ripetuti, azioni reiterate, albe e tramonti che si susseguono per l'eternità. Dalle immagini, neutrissime e distanti, emerge un senso di totale indifferenza della natura (e del film stesso): esempio perfetto di un'opera che ci manca, del disperato e vano tentativo di cercarla, di legittimarla, di fermarla, di oggettivarla. Eppure, tragicamente, l'esistenza scorre davanti ai nostri occhi assopiti e incantati (e cosa c'è di più tragico e umiliante di qualcosa che scorre dimentica di noi, nonostante siamo proprio noi a vederla?): più del film è interessante ciò che parte dal film (il nostro pensiero che aleggia tra le piante e i tempi morti di inquadrature lunghe, che non portano da nessuna parte, ma si perdono tra i suoni eterni della natura).
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