lunedì 16 febbraio 2015

La damigella di Turner




Rivedendo Turner di Mike Leigh mi soffermo su una delle sequenze più significative del film. Quando il corpo massiccio del pittore avvolge quello della damigella, consumando un veloce e animalesco orgasmo all'interno della propria dimora. Il movimento della camera arretra rigorosamente, con un carrello che si allontana, prendendo le distanze da un coito privo d'amore e tenerezza.
Questo allontanarsi dalla scena, questo sfuggire dal set, in qualche modo freddandolo, incorniciandolo, lasciandolo alla sua inevitabile prosecuzione, pare la cifra comune di tanto gelido cinema (come quando Haneke interpone uno spazio, una distanza, tra la camera e le sue figure, per congelarle e lasciarle andare al proprio destino). Eppure qui qualcosa si spezza: quando la sequenza pare terminata, uno stacco di montaggio ci costringe a riavvicinarci senza preavviso. Leigh torna su un campo più stretto, come se sentisse di non aver ancora detto tutto, come se avesse bisogno di uno sguardo pronto a riscaldare il mortuario quadro di consumazione.
La damigella sorride, facendo cambiare di segno la scena. Leigh si sofferma su una figura femminile fragilissima e riesce a donarle una dolcezza sconfinata. La damigella, consumata gradualmente dalla psoriasi, prova affezione, amore, perfino tenerezza nei confronti di quella figura che bofonchia e ringhia per tutto il film. Figura che non le regalerà mai una parola di gentilezza, impartendole solo ordini e sperma. Eppure sarà proprio lui a invocare la damigella sul punto di morte. Quello di Leigh si rivela allora un film caldo, che, nonostante tutto, ha piena fiducia nei singoli uomini, nei loro affetti e nei loro sentimenti.
La damigella, senza ottenere nulla in cambio, spia silenziosa i quadri del pittore, rimanendo nella casa che fu di Turner. Spesso si ha come la sensazione che vorrebbe parlare, ma esita e, reticente, non dice nulla. Abita il silenzio, perpetua le sue mansioni quotidiane.
E alla fine del film, quel luogo quieto e tranquillo in cui visse il pittore finisce per ospitare unicamente i quadri e quella donna. Donna che sembra quasi un'opera d'arte vivente, un lascito, un segno, un residuo tormentato d'amore e tristezza. E' adesso lei a illuminare di luce uno spazio disabitato.

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