mercoledì 3 dicembre 2014
I miei vicini Yamada di Isao Takahata
Come in un manga in movimento, stilizzato ed essenziale fino al midollo, "I miei vicini Yamada" fa della bidimensionalità il suo cuore pulsante, mentre utilizza acquarelli per colorare ogni emozione. Il maestro Isao Takahata risponde alle esigenze di realizzare un'opera semplice, ascetica, in grado di illuminare (e, soprattutto, di bucare) la vita quotidiana con un piccolo gesto, qualcosa di buffo o superfluo, forse una speranza o un sogno o un pensiero del momento. Racconti episodici restituiscono un ritratto dell'eccentrica famiglia Yamada, senza preoccuparsi di una narrazione che investa l'intero film, di una consequenzialità tra un momento e l'altro: solo siparietti, piccole situazioni che iniziano e finiscono, ma che, nel loro accumularsi, restituiscono l'inevitabile succedersi di giorni, stagioni e fasi della vita famigliare.
"I miei vicini Yamada" mi pare costruito come un perfetto meccanismo di haiku eterogenei che si sfiorano e s'incontrano per scandire il (non) tempo del racconto. Le dolci parole dei poeti Bashō e Buson riportano il tutto a una dimensione più antica, quasi nel rimpianto di un Giappone che non c'è più o di un'altra vita: in questo rimpianto, sotterraneo, nascosto ma viscerale, si trova il senso dell'intero film.
Ogni momento della preziosa opera di Takahata, riesce a commistionare candore e malizia, passando, senza soluzione di continuità, dalla gentilezza al risentimento, dai sogni proibiti all'adolescenza, dalle prime cotte di gioventù all'inesorabile avanzare dell'età.
Sotto la superficie edificante di una famiglia che, compatta, può superare le insidie del mondo, si nasconde un film ben più amaro e desolante: emerge un senso di frustrazione, di impotenza, di inadeguatezza del singolo nei confronti di un Giappone che è sempre in movimento. Un Paese che non si ferma, che non può fermarsi, ma che ha lasciato i suoi singoli cittadini indietro: troppo lenti per non rivelarsi un peso, troppo goffi per non inciampare, troppo umani per velocità oltreumane.
Tutto dice che bisogna andare avanti, lavorare sodo, stringere i denti, tutto è training morale. Gli Yamada cercano di stare al passo con i tempi, ma non ce la fanno: dimenticano continuamente le cose, accumulano ritardi, non si svegliano la mattina, sono distratti e arrivano alla sera sfiniti.
Emerge un senso di nostalgia infinita, un sentirsi fuori tempo massimo che fa della timida commedia de "I miei vicini Yamada" il dramma pulsante sull'incompatibilità di un paese con i suoi cittadini.
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