mercoledì 1 febbraio 2017

Ho sognato un angelo di George Stevens




Il tempo della memoria è il tempo di un disco e poi di un altro e di un altro ancora. Ascoltare significa ritornare, ritornare vuol dire rammemorare, rammemorare infine rivivere, ricominciare da capo, come se la mente di Irene Dunne altro non fosse che un judebox arrugginito che ripete, uno dopo l'altro, i souvenirs di una storia d'amore: dal primo incontro con Cary Grant ai bambini che vissero due (o tre) volte, dallo sguardo che infuocò gli amanti all'amore sconfinato per una docile creatura. E nel ricordo esistono solo Cary Grant e Irenne Dunne: tutto intorno è set, ricostruzione in cartapesta, cinema d'interno. Ma loro, primi piani viventi che emergono da un fondale dipinto, sono più vividi dei fantasmi, più forti dei morti, più innamorati degli altri: sono il centro di un mondo che si perde in dissolvenza. Nulla li potrà fermare - né il dolore, né la perdita, né la tristezza - perché il loro tempo ritornerà sempre in attesa di un lieto fine. Le voci dei due amanti sono eco remote ma vicinissime, spettri gentili di un film annegato in un disco.

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