domenica 2 febbraio 2014
Su una compassione originaria:
"Au hasard Balthazar"
Viene una gran voglia di piangere ogni volta che si vede "Au Hasard Balthazar", ma non solo perché racconta dei misfatti crudeli degli uomini, della loro assoluta contingenza, della loro irrilevante meschinità, ma perché è il più grande film che abbia mai visto su un soggetto capace di accogliere in sé tutto il dolore del mondo, come una figura cristica che non chiede nulla in cambio, che avanza nella propria Via Crucis fino alla fine dei suoi tempi.
Il capolavoro di Bresson è in realtà una delle più lucide parabole sull'inevitabilità e l'onnipresenza del male che si siano viste sul grande schermo: percorrendo quella tradizione che vuole l'uomo peccatore e reietto, per Bresson il nuovo eletto, il nuovo santo è allora dostoevskianamente - e inevitabilmente - l'Idiota, l'escluso, il folle e dunque, paradossalmente, l'Asino.
E quella sequenza all'interno dello zoo, che fa piangere fino allo sfinimento, in cui Balthazar incrocia gli sguardi degli altri animali, evoca il tacito dolore del mondo ma suggerisce, soprattutto, una straordinaria idea di compassione originaria, intesa come cum-patire, soffrire insieme, assorbire il dolore nell'occhio di chi guarda e di chi è guardato.
E allora l'asino nasce, cresce, invecchia e muore.
Genesi di un capolavoro. Da "L'idiota" di Fedor Dostoevskij a "Au hasard Balthazar" di Robert Bresson.
"(...) Mi ricordo che mi risvegliai completamente da tutte queste tenebre una sera a Basilea, al mio arrivo in Svizzera, e a risvegliarmi fu un raglio di un asino, una sera al mercato cittadino. Quell'asino mi colpì enormemente e chissà perché mi piacque in modo straordinario, e contemporaneamente mi parve che d'un tratto tutto si snebbiasse nella mia testa (...). Da allora amo enormemente gli asini. E' addirittura una sorta di simpatia che sento dentro di me. Mi misi a chiedere informazioni su di loro, perché prima non ne avevo mai veduti, e immediatamente mi convinsi che erano animali utilissimi, gran lavoratori, forti, pazienti, poco costosi, tolleranti, e grazie a quell'asino d'un tratto tutta la Svizzera cominciò a piacermi, cosicchè se ne andò del tutto la ptristezza di prima. (...)"
E Robert Bresson, di conseguenza: "(...) illuminare la figura di un idiota attraverso un animale, fargli vedere la vita attraverso questo (...). E paragonare questo idiota (ma voi sapete bene che egli è, di fatto, il più fine, il più intelligente di tutti), paragonarlo all'animale che passa per idiota e che è il più fine, il più intelligente di tutti. È magnifico!"
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