lunedì 28 marzo 2016

Brooklyn




A ripensarci, Brookyln è un film di un candore fuori tempo massimo, di un'ingenuità-classicità da assaporare frame dopo frame per tornare a sentirsi a casa. Per chi ama abitare nei terreni più tradizionali del melò, Brooklyn è una vera goduria: tanto è trattenuta - e forse meno interessante - la prima parte, quanto si lascia andare la seconda, che esplode in una giostra di sentimenti, in un andirivieni tipico del più consono dei melodrammi. Il bello di "Brooklyn" è che l'unico referente del film, molto più che la Storia, è il cinema stesso: cavalcare gli archetipi, ripensare la vita a partire dalle coordinate del melò, costruire una galleria di figurine che al cinema, solo al cinema, possono continuare a porsi come capisaldi, bussole orientative, guardiani stessi della visione. Ma dietro la patina rassicurante, c'è un discorso non così ovvio sulla formazione dell'identità come ciò che eccede i contesti di appartenenza (le città e poi, ovviamente, il cinema stesso). E infine, sotto quest'apparente innocenza, si nasconde un mondo di bassezze morali ed egoismi (da cui non è esente neppure la protagonista). E poi, quando la macchina da presa di John Crowley incornicia un primo piano della magnifica Saoirse Ronan, il film inizia a vibrare al di là della sua cornice.

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