martedì 29 luglio 2014
"Canzoni dal secondo piano"
Roy Andersson sulle tracce di Kafka
A inaugurare gli anni zero, come una sorta di manifesto apocalittico dove la tragedia del mondo non può che trasfiguarsi in immaginario liquido e grottesco, c'è "Canzoni dal secondo piano".
In un'equazione perfetta si potrebbe dire che Roy Andersson sta al cinema come Kafka alla letteratura: non è lecito parlare di senso o di non-senso, ma forse solo, per un divertito gioco di parole, di dissenso. Andersson non ci sta: frammenta un immaginario che è sempre più convertito al pensiero unico e alla convergenza, spezza il film in una serie di situazioni che non finiscono, ma si accendono e si spengono sullo schermo, come ipotesi di vita senza vita, di tempo senza tempo, perché l'aporia è conditio invalicabile della contemporaneità.
Personaggi che si sfiorano ma non sanno (non possono) comunicare, perché ormai parole, gesti o sguardi non riescono più a varcare il campo, sono impossibilitati a qualsiasi ipotesi di sintesi o unità. Campi lunghi, piani fissi che negano un pur minimo movimento di macchina, che chiedono allo sguardo di perdersi dei meandri di un'immagine che non finisce, ma continua sempre, oltre i limiti dello sguardo. Negato il campo e il controcampo, negata l'empatia e il sentimento, quella che rimane è la buffa giostra del mondo, la danza di burattini che hanno perso il loro teatro, e perfino i fili, mentre parlano di Gesù che fu crocifisso perché era bello e gentile ma non era figlio di Dio.
Dalla Storia alla Religione fino alla chiacchiera vana di chi non è più capace di ascoltare. Nessuno scambio di sguardi, ma una solitudine lancinante che fa ridere e che fa male: non c'è nulla di più divertente della nostra sofferenza. Non più il tragico ma una sua imitazione perversa che porta, inevitabilmente, al riso.
E' il paradosso a configurarsi come l'unico termine tecnico del mondo.Dire assurdo significa dire quotidiano, e allora assisteremo a un traffico esasperante che blocca un'intera città (anche se nessuno sa da cosa sia causato), a case che si muovono, a padri che bruciano i propri negozi, a figli caduti nell'afasia perché scriver poesie li ha fatti impazzire. Le possibilità di dialogo (per citare un altro maestro dell'incomunicabilità) sono divenute impossibilità di dialogo, precipizi dell'uomo e del mondo: ecco come la paura ha ceduto il passo alla tristezza (si pensi ai morti viventi).
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