domenica 25 ottobre 2015

Land of Mine di Martin Zandvliet




Alla fine della seconda guerra mondiale un gruppo di prigionieri tedeschi è costretto a disinnescare mine su una spiaggia danese. Zandvliet asseconda un soggetto davvero interessante, concependo un film che trova la sua grammatica nel montaggio mani-mina-volto, innescando così un grumo di suspense che regge bene per tutta la durata. Peccato che poi "Land of Mine" si trasformi in una grande occasione sprecata, prima di tutto da un punto di vista di scrittura. Se tutto il film punta sulla facile empatia con i giovanissimi prigionieri tedeschi, è il personaggio del sergente a non convincere affatto dal punto di vista psicologico. Passa da un estremo all'altro, con una gratuità che sembra davvero inspiegabile (dalla partita di calcio con i prigionieri, in cui è il sergente/padre buono, alla sequenza, davvero fastidiosa, in cui è il mostro che tratta uno dei ragazzini alla stregua di un cane). Come credere a un film che svela tutti le sue funzioni strutturali, i suoi motivi di scrittura, che si rivela finto, artefatto, ostinatamente costruito per piacere a tutti i costi? Un vero peccato, perché "Land of mine" conta diversi bei momenti, ma si perde nelle sue stesse insicurezze, affidandosi a mode registiche che più omologanti non si può: le riprese tentennanti, sempre a mano, anche quando desidereresti un minimo di stabilità; la musica pronta a sottolineare ogni umore dei personaggi; la color artefatta, desaturata dell'immagine. E così via...

Nessun commento: