martedì 19 marzo 2013
Riflessioni a caldo su alcune direzioni del cinema meanstream Americano
Guai a chi esce fuori dal tracciato!
L'America è ancora la terra del riscatto, dove anche l'ultimo degli uomini può guarire e rifarsi una vita. Pareva morto, ma il sogno Americano è più vivo che mai, e si declina cinematograficamente in svariate forme. Vai a vedere un filmetto per giunta mediocre, tanto esaltato dagli Americani, come "Il lato positivo" e ti rendi conto di come l'America non sia mai uscita dal suo sonno narcolettico.
"Il lato positivo" è un prodotto prevedibile e consolatorio, dove i personaggi sono ridotti, ancora una volta, a figurine e funzioni (guardare per credere l'ossessivo-compulsivo padre di Robert De Niro che non è poi così distante, come verosimiglianza e credibilità, al padre paranoico di "Ti presento i miei" e seguiti). E Jennifer Lawrence, che mi dicevano fosse una nuova grande rivelazione, mi pare un'attricetta piuttosto trascurabile che ha soffiato un Oscar alla ben più corposa Jessica Chanstain.
Di conseguenza il successo de "Il lato positivo" si inscrive nel percorso di un'America sempre più conservatrice e retrograda, che premia il buon "Argo" sentendosi progressista ma che in realtà testimonia tutta la sua arretratezza. Non perché "Argo" sia un brutto film, al contrario, è ben diretto e costruito in maniera esemplare, ma perché presenta un'America per cui vale ancora la pena lottare e credere. Inoltre mostra sempre un ritorno al nucleo familiare inscindibile, alla sicurezza del sogno. Al contrario un film ben più coraggioso come lo straordinario "Zero Dark Thirty" (uno dei capolavori della stagione) viene snobbato perché l'America qui rappresentata è una terra di solitudini, misfatti e crudeltà. Qui non c'è più nessuna famiglia in cui tornare, ma solo le lacrime sul volto di Jessica Chanstain, testimoni di una solitudine e di un malessere molto più profondo.
"Zero Dark Thirty" è la controversa ed ineccepibile parabola sull'ossessione come fame onnivora e unidirezionale, capace di accecare e di inghiottire tutto il resto in un vortice di follia senza fine: l'America descritta nel film è asfissiante ed esclusiva, è quella delle stanze di tortura, degli elicotteri e delle automobili, della sale di riunione e progettazione, degli uffici e dei rifugi insospettati, distanti dal mondo e dagli occhi dei media. La caccia all'uomo si consuma lontana dagli occhi del comune cittadino, completamente (e genialmente) escluso dal film, come una sorta di protagonista assenteista. E quando lo scopo viene raggiunto non esiste nè pentimento nè rielaborazione, ma solo un terribile, avvolgente senso di vuoto. L'ossessione è stata consumata e ora?
La differenza, direi, mi pare questa: in "Zero Dark Thirty" il personaggio si "svuota" progressivamente fino a ritrovarsi a un disperante, consapevole grado zero, come in una sospensione reale e insieme cinematografica, in "Il lato positivo", "Argo" e affini i personaggi si riempiono, quasi abbuffandosi, arrivando alla bulimia di chi è "solo" finzione.
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